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 2015  febbraio 11 Mercoledì calendario

CARO E.T. ASCOLTA L’AMORE

Questa è una storia d’amore di quelle che iniziano con una compilation. Ma questo mix non sta su una cassetta o un cd come si usava una volta, e neppure in una chiavetta come si fa adesso. Non ci sono neppure canzoni su quel disco d’oro registrato 38 anni fa, ma un campionario della vita sul pianeta Terra fatto di immagini e suoni: il rumore di un tuono e delle onde del mare, il disegno della struttura del Dna, il cinguettio degli uccelli al mattino e la foto di una balena, il suono di un bacio e l’immagine di una mamma che allatta il suo bambino, le sonate di Bach, i canti degli indiani Navajo, e un saluto in 59 lingue diverse. Poi, verso la fine, come uno sfrigolio: la registrazione delle onde cerebrali di una donna innamorata, che ora sappiamo essere molto diverse da quelle di chi l’amore non lo ha ancora conosciuto, o ha già dimenticato di averlo incontrato.

Quella donna si chiama Ann Druyan, e quel disco lo ha preparato per Carl Sagan, il leggendario astrofisico americano che a partire dagli anni Sessanta con i suoi libri e le sue trasmissioni ha fatto scoprire agli americani la scienza.
In effetti l’idea iniziale l’ha avuta Carl: Ann è stata direttore creativo del progetto. Insieme hanno messo una copia di quel disco sui due Voyager, l’1 e il 2, le sonde della Nasa che, dopo avere mandato a terra le foto di Giove e Plutone, poche settimane fa sono entrate nello spazio interstellare.
Ma se tutti ricordano che quel disco d’oro è stato fatto con la speranza di essere un giorno trovato da qualche civiltà aliena, pochi sanno che contiene anche un pezzo di una storia d’amore. Una storia d’amore di quelle che resistono al tempo se lo si conta in migliaia di anni, e allo spazio se lo si misura in milioni di anni.
Ann una copia di quel disco la tiene sul proprio comodino, e la guarda ogni sera prima di addormentarsi.
Ricordando la primavera del 1977 in cui stava preparando quella lettera d’amore per l’universo, mi dice: «C’era del sacro in quel progetto, perché era come se affermassimo che noi terrestri vogliamo essere cittadini dell’universo».
L’amore scoccò durante una telefonata, il primo giugno del 1977: «Avevo finalmente trovato un pezzo di musica cinese da mettere sul disco, e chiamai Carl che quel giorno era in viaggio. Eravamo amici da tre anni, e avevamo spesso delle conversazioni molto coinvolgenti, ma nulla di più». Quella sera, invece, accadde qualcosa: «Non lo trovai e lasciai un messaggio. Lui mi richiamò un’ora dopo dicendomi che quando aveva ascoltato il messaggio si era chiesto: “Perché non me lo ha lasciato dieci anni fa?”. Ricordo perfettamente che il mio cuore si è fermato, e gli ho detto: “Sul serio?”. E lui mi ha risposto: “Vuoi dire che ci sposiamo?” E e io: “Sì”».

A quel punto squillò di nuovo il telefono, ed era ancora Carl che le diceva: «Volevo solo essere sicuro che fosse veramente successo: ci sposiamo, giusto?». E Ann: «Sì, ci sposiamo».
Qualche tempo prima Ann aveva chiesto a Carl se pensava fosse possibile comprimere le emozioni nervose in un suono, nella speranza che un giorno un extraterrestre potesse aprire quel file e ricostruire quell’emozione. E lui guardandola le aveva risposto: «Perché non lo fai? Chissà che cosa sarà possibile tra un milione di anni». Così, due giorni dopo quella dichiarazione d’amore, Ann andò all’ospedale Bellevue di New York a meditare sulla gioia che provava, degli elettrodi sulla testa registravano i suoi pensieri. Due mesi dopo, il 20 agosto, partivano le navicelle col disco d’oro. E il 22 agosto Ann e Carl annunciavano che si sarebbero sposati, destinati a restare assieme fino alla morte di lui nel 1996. E ben oltre.
Perché questa è una storia d’amore destinata a durare anche quando la nostra civiltà sarà scomparsa, anche dopo che il sole avrà inghiottito la Terra. Il disco d’oro ha una resistenza di un miliardo di anni, e le sonde potrebbero continuare a volare per lo stesso periodo alla velocità di 50 mila chilometri al giorno.
Già ora sono l’oggetto fabbricato dall’uomo più lontano dalla Terra, a 20 e 16 miliardi di chilometri da noi. E se già adesso sappiamo che l’innamoramento accende zone del cervello che altrimenti restano silenti, chi lo sa che cosa sapremo dell’amore tra un milione di anni?

Lo dico ad Ann, e scopro che lei con Interstellar ha un rapporto molto diretto. Fu la produttrice del film, Lynda Obst, a presentarla a Carl durante una cena a casa di Nora Ephron, circa 40 anni fa. E sono stati Carl e Ann che hanno presentato Lynda a Kip Thorne, l’astrofisico cui si ispira il film. «La fine è la parte che preferisco», mi dice lei. Perché? «Perché se veramente potessi tornare indietro nel tempo saprei benissimo dove vorrei andare. Di nuovo con Carl, in una qualsiasi di quelle giornate di quella stupenda primavera: i miei sentimenti per lui sono ancora quelli di allora, e sapere che stanno viaggiando nello spazio mi ricorda che quello che ho provato è esistito davvero».
Le chiedo se crede al destino, e se pensa che l’amore la porterà un giorno a ritrovare Carl: «Per me non è l’amore che ci porta in un’altra dimensione, ma la scienza», risponde Ann. «Non credo che rivedrò mai Carl, ma non conta: l’importante è che ci siamo incontrati. Tutti e due sapevamo di essere prodotti non del destino ma del caso, e di una circostanza preziosa e fortunata che ci ha permesso di trovarci nella vastità dello spazio e nell’immensità del tempo».