Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 13 Venerdì calendario

E IO ME NE FOTTO


Forse avete sentito dire che Johnny Depp è in crisi, che i suoi ultimi film non sono stati all’altezza delle aspettative. Ma di chi? L’unica cosa che interessa a Johnny Depp è sfidare le convenzioni e se stesso. E il 2015 sarà l’anno in cui mostrerà al mondo la sua versatilità di attore (è un truffatore in Mortdecai, un lupo cattivo in Into the Woods, il criminale James “Whitey” Bulger in Black Mass) e la sua capacità di pensare sempre fuori dagli schemi, senza mai guardare con ansia al botteghino.
«Una volta Marlon mi ha detto una cosa bellissima: “La vita è il canto di un uccello”. Non l’ho mai dimenticato». Come il suo amico e mentore Marlon Brando, Johnny Depp ha una visione poetica della natura effimera, bellissima e soverchiante dell’esistenza umana. E anche un po’ punk: «Il tempo fugge per tutti. La cosa importante è decidere se stare seduto a guardare le lancette dell’orologio aspettando la fine, il che è assolutamente inutile, oppure vivere». Se oggi Johnny Depp sembra un uomo libero da ogni paura è perché dopo essere stato per anni una star sfuggente si è ritagliato una posizione che lo mette al riparo da ogni possibile critica e ha superato la sua ossessiva dedizione verso il lavoro: «La cosa che mi dà più soddisfazione è essere arrivato, come Marlon, al punto in cui non me ne frega più niente».
La sua emancipazione è stata progressiva: «Prima prendevo tutto molto sul serio ed ero molto diligente, poi è diventata una cosa assillante. Poi, a un certo punto è successa una cosa grandiosa: improvvisamente non me ne frega più niente. È la liberazione totale, perché sei pronto a fare qualsiasi cosa».
La dimostrazione di questa sua nuova libertà è nelle trasformazioni che ha fatto l’anno scorso, un 2014 decisamente fitto di impegni: «È stato folle», mi dice. È tornato da Londra, dove ha finito di girare il sequel di Alice in Wonderland, campione ai botteghini nel 2010, e cioè Alice in Wonderland: Through the Looking Glass di James Bobin, che vedremo nel 2016: «Sono stato Whitey Bulger e il Cappellaio Matto, puoi immaginare la schizofrenia».
In queste settimane Johnny è nelle sale italiane con Mortdecai di David Koepp: in questo caso è un aristocratico e avventuriero commerciante d’arte, criminale part time; un ruolo che potrebbe essere uno dei migliori della sua carriera. Appena presentato a Berlino, Mortdecai nasce dalle pagine di Kyril Bonfiglioli, autore di una serie cult inglese (una trilogia più un quarto episodio, rimasto sospeso per la morte del suo autore) degli Anni 70.
Altra grande prova d’attore è quella fornita in Into the Woods, l’adattamento di Rob Marshall del musical scritto da Stephen Sondheim, che unisce una raccolta di favole – la maggior parte dei fratelli Grimm – tutte senza un lieto fine (il film sarà in cartellone in Italia ad aprile). Depp ha letteralmente azzannato il ruolo del lupo, dando vita a un personaggio astuto, dagli svariati risvolti comici, così da rendere accettabile il suo modo di fare – prima seducente, poi pericoloso e infine predatore – anche a un pubblico di famiglie: «Mi è piaciuto molto il modo in cui abbiamo costruito il personaggio del lupo cattivo: ha un gran senso dell’umorismo dark».
E ancora: Johnny Depp lo rivedremo a settembre in Black Mass. Sarà James “Whitey’’ Bulger, il leggendario criminale di Boston che dopo essere stato per anni un informatore dell’Fbi (selezionava accuratamente le informazioni da passare ai Federali con lo scopo di fare fuori tutti i suoi rivali) è sparito nel nulla diventando il numero 2 nella lista degli uomini più ricercati d’America, subito dopo Osama bin Laden: 31 i capi d’accusa, 19 gli omicidi in cui sarebbe stato coinvolto. «Nessuna delle persone che vengono considerate malvagie dalla società pensano di essere veramente cattive», dice Depp a proposito di Bulger, che è stato arrestato dopo 15 anni di latitanza nel 2011, mentre viveva come un tranquillo pensionato insieme alla compagna Catherine, in una villetta di Santa Monica.
Depp ha costruito il personaggio di Bulger, un tipo davvero pericoloso e moralmente complesso, risalendo alla sua infanzia di ragazzino caparbio del Kentucky che aveva già cambiato casa 25 volte quando è stato arrestato la prima volta, a 17 anni. È stato in quel punto della biografia che ha trovato la chiave per catturare il carattere instabile e furioso del malavitoso: «La cosa incredibile di Bulger era la sua capacità di andare da zero a cento in una fottuta frazione di secondo. C’era da fare fuori uno? Bang bang, via per sempre. Aveva dentro un serbatoio di rabbia da cui attingere, sempre a portata di mano. E non era mai troppo lontana, gliela vedevi scorrere anche appena sotto la superficie».
C’è da scommetterci: dopo questa bella tripletta di film, saranno in molti a parlare del grande ritorno di Johnny Depp. Soprattutto lo faranno quanti avevano dato l’attore per morto e sepolto, data l’ultima infilata di flop al cinema, da The Lone Ranger a Transcendence (Forbes ha appena messo l’attore al secondo posto, dopo Adam Sandler, della classifica dei troppo pagati per quel che rendono: per ogni dollaro intascato, Johnny ne frutta alle major solo 4,10). Ma c’è una cosa più importante da sottolineare: Depp ha mostrato l’ampiezza del suo talento e della sua ambizione, ha dimostrato quanto sia determinato a infischiarsene di tutto (non dimentichiamo che ha accettato anche piccole parti in Tusk e Yoga Hosers, i primi due capitoli della True North Trilogy di Kevin Smith, la trilogia a cavallo tra folklore e horror canadese) e ci ha ricordato quanto la gente abbia giudicato male il suo ruolo nel firmamento delle icone culturali del nostro tempo. «Johnny è un caratterista nel corpo di un attore protagonista», dice Rob Marshall che lo ha diretto in Into the Woods e anche nel quarto capitolo de I pirati dei Caraibi: «È in grado di scomparire dentro i personaggi e di portare sempre qualcosa di nuovo in ogni cosa che fa. È anche molto bravo a lavorare con gli altri».
Una bestia da palcoscenico che avrebbe amato starsene in seconda, forse anche in terza linea: ecco il paradosso di Johnny Depp. Sin dall’inizio della sua carriera, quando ha cercato di scendere dal treno in corsa del successo: lo ha fatto terminata la quarta stagione di 21 Jump Street, la serie poliziesca che lo ha lanciato nel 1987. È evidente: la luce della ribalta lascia dei segni sulla sua pelle come il sole su quella dei vampiri. «Sono un fottuto timido, e vivo come un fuggitivo. Non mi piacciono gli incontri mondani e per qualche strana ragione mi va bene continuare a nascondermi. Riesco a osservare meglio le cose se non sono io quello che viene osservato». Non gli interessa piombare dall’alto e salvare la situazione, indossando un costume da supereroe. Ha sempre evitato di indossare il mantello del protagonista, anche nei suoi film di maggiore successo.
La sua interpretazione di Jack Sparrow è stata talmente sovversiva da fare arrabbiare i pezzi grossi della Disney, secondo i quali era troppo ubriaco o troppo gay, o tutti e due, e da portare sull’orlo dell’esasperazione Michael Eisner, l’amministratore delegato, che a un certo punto ha sbottato: «Sta rovinando il film». A questo punto della sua carriera diciamo che può anche essere perdonato per la sua relazione di odio-amore con il suo alter ego piratesco, che fra l’altro sta per tornare (è in fase di pre-produzione: si girerà nel 2017).
Grazie a Jack Sparrow, adesso Johnny Depp guadagna 20 milioni di dollari a film, e ogni volta che i capi della Disney vogliono riportare al cinema l’adorabile bucaniere pensano solo a lui: «Sono come un cane da corsa intrappolato sul circuito: vogliono che tu vinca ogni volta una gara in cui sei arrivato primo per caso. Da quel momento in poi non sei altro che un prodotto. Hanno delle ottime aspettative per il prossimo capitolo de I pirati dei Caraibi, e va benissimo. Quella storia è una bomba, ma Dio mio, non può essere l’unico scopo della mia vita. Sarebbe brutto, credo».
L’iconoclasta Depp non ha perso il piacere della gara anche se è lui l’unico partecipante, e si disegna da solo il tracciato mentre corre. Si concede volentieri (anche più di una volta) ai film ad alto budget se si ritrova nel personaggio, ed è ancora più felice di provare a sviluppare progetti indipendenti che lo appassionano attraverso la sua casa di produzione, la Infinitum Nihil. «Il nome della mia società cinematografica mi è venuto in mente con un sorriso mentre stavo pensando che tutto non è altro che un nulla infinito. Credo sia giusto essere coscienti del nulla, ti rende capace di esistere e vivere nel momento, senza rimanere invischiato in tutte quelle stronzate che ci vengono in mente mentre siamo impegnati in questa fottuta ricerca di qualcosa che non sappiamo neanche cosa sia. Che si fotta la ricerca, è tutto qui e ora. Mi piace l’infinito, l’idea del nulla senza fine. E poi ho saputo che esiste anche un tipo di calzamaglia invernale chiamato Infinity Zero o qualcosa del genere, e questo mi ha reso molto felice».
L’ultimo progetto sviluppato con la Infinitum Nihil è It Only Rains at Night di Neal Jimenez, che nel 1986 aveva firmato la sceneggiatura di River’s Edge – I ragazzi del fiume: «Ho rubato il copione dalla scrivania di un agente, qualcosa come 25 anni fa», dice ridendo. «E ho sempre voluto recitare o dirigere quella dannata storia. È strana e bellissima». Johnny Depp sta lavorando a un ritmo velocissimo, difficile da sostenere per un attore che interiorizza ogni personaggio: «Marlon ha detto: “State attenti: ogni attore ha a disposizione solo un limitato numero di facce”. Ha ragione, ma io non ho ancora finito la mia scorta».
Quello che Johnny non ha più, se mai ce l’ha avuta, è la pazienza di tollerare tutti gli altri aspetti del suo lavoro. Ubriaco sul palco degli ultimi Hollywood Film Awards, dove ha regalato una delle peggiori performance della sua vita, di nuovo innamorato di Amber Heard sul red carpet dell’Heaven Gala, uno dei tanti che hanno preceduto i Golden Globe, Depp confessa: «Adoro il processo creativo, ma tutto il resto... Mi sta bene essere sfuggente, ma non so quanto sia possibile per un essere umano. Oggi gli attori sono costretti a vendere il culo per fare funzionare il loro film». A 51 anni, fa un sospiro. Lui è troppo occupato per queste cose: «Arriva un momento in cui ci pensi bene e dici: la vita è veramente il canto di un uccello».