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 2015  febbraio 13 Venerdì calendario

IL BRACCIO DESTRO DI PELÉ


È stato il primo a farlo. Il primo a dire, da una posizione di forza, “mi stacco dal passato e ci provo con il futuro”. Era l’estate del 2012: Graziano Delrio era sindaco di Reggio Emilia, presidente dell’Anci (l’Associazione dei Comuni italiani), e a pochi mesi dalle primarie nel Pd, scelse di cambiare verso, contro Bersani, e di appoggiare Renzi. Fu l’unico dei big del partito a farlo. Poi tutto è successo rapidamente. Il governo con Enrico Letta (ministro degli Affari regionali). Il passaggio di mano a Renzi (oggi è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio). Il rapporto con Giorgio Napolitano (il quale ha così tanta stima di Delrio che lo avrebbe ben visto, da tempi non sospetti, come suo erede al Quirinale). E, ovviamente, il filo con tutti i vecchi del Pd (in primis Romano Prodi).
Renzi chiama Delrio “Mosè”. Delrio chiama spesso Renzi, più che con una definizione, con un numero: “il nove”. Perché nove sono i figli che ha Delrio. Il rapporto tra i due è denso, non sempre sereno, spesso dialettico, come tra fratello minore e fratello maggiore. Delrio resta comunque l’unico politico non fiorentino ad avere accesso diretto alle stanze del capo del governo. Tanto che, a un certo punto, l’ex sindaco di Reggio Emilia è parso a molti il candidato perfetto per la carica di presidente della Repubblica: un’estensione naturale di Renzi al Quirinale. Come Gianni Letta è stato per Berlusconi. Delrio – famiglia comunista, padre muratore, nonni sepolti con la bandiera rossa dell’Internazionale, lui, invece, anticomunista di ferro – ci scherza su, e sa che, comunque andranno le cose, toccherà a lui gestire i rapporti con il nuovo inquilino del Quirinale, come è successo negli ultimi due anni tra Renzi e Napolitano. Ancora una volta sarà una delle pedine chiave per capire come si muoverà il capo dello Stato.
Racconta a GQ di aver «conosciuto Renzi come sindaco, ai direttivi dell’Anci. Amici lo siamo diventati nel tempo, e che Matteo potesse rappresentare qualcosa di nuovo ne ho avuto la prova quando ho visto i miei figli iniziare a interessarsi di politica...». Di Renzi, Delrio dice di apprezzare «l’attitudine ad ammettere gli errori e le sconfitte, di farne tesoro e di imparare dai passi falsi, e la capacità di imporre un’energia all’Italia che prima o poi verrà fuori». Conferma che tra loro «c’è la stessa differenza che corre tra la fisica newtoniana e quella quantistica: lui introduce un elemento di imprevedibilità che è importantissimo». Suggerisce alla Treccani una definizione rapida: «Dicesi renzismo il cambiamento inteso senza retorica come un fatto positivo e urgente, di cui l’Italia ha ancora grande bisogno». E dice che oggi il vero nemico del governo non è un leader particolare ma un concetto particolare, «il solito avversario della politica: l’indifferenza verso la gente comune».
Di Delrio si è scritta qualsiasi cosa in questi mesi. Si è raccontato del suo passato di ricercatore all’università di Modena. Della sua specializzazione in endocrinologia. Dei suoi studi fra la Gran Bretagna e Israele. Del suo essere stato il primo politico ad aver rottamato, indirettamente e con un certo anticipo, Massimo D’Alema (quando Delrio fu eletto presidente dell’Anci, accadde per volontà di Renzi e in contrapposizione con la candidatura dalemiana di Michele Emiliano, allora sindaco di Bari).
Ora, però, c’è da scrivere una storia nuova, e per farlo, più che un romanziere, Delrio suggerisce due registi, una pensatrice e, a sorpresa, un grande calciatore del passato. «Mission, di Roland Joffé, è il film che più rappresenta l’avventura renziana», dice pizzicandosi la barba sul mento. «Ma se domani qualcuno volesse fare un film su quello che sta accadendo con il governo Renzi, mi piacerebbe che a girarlo fosse Martin Scorsese. Chi volesse invece leggere qualcosa per capire meglio il renzismo, dovrebbe recuperare Sulla rivoluzione (pubblicato da Einaudi, ndr), che Hannah Arendt scrisse nel 1963. Ma ancora più importante è una storia di successo che vorrei fosse sempre ricordata da chi ha scelto di imbarcarsi con noi: quella di Pelé, esempio raro di campione che diventa tale nonostante tutto e nonostante tutti».
Claudio Cerasa