Mirko Graziano, La Gazzetta dello Sport 13/2/2015, 13 febbraio 2015
VENTURA: «VECCHIO IO? LA LIBIDINE C’È ANCORA»
Dal 2011 esiste un ufficio miracoli al Torino. Lo gestisce Giampiero Ventura, 67 anni. Sì, ma solo all’anagrafe. Freschezza ed entusiasmo da ragazzino, idee moderne, sguardo al futuro, fame vorace di nuove esperienze tattiche: ecco, in breve, chi è l’uomo che ha trascinato i granata dal purgatorio della B al palcoscenico europeo. E’ il tecnico del momento: 19 punti nelle ultime 9 gare (come la Juve!) e settimo posto per un Torino ribaltato rispetto alla scorsa stagione, orfano di Cerci e Immobile, coppia da 35 reti in un torneo.
Mister Ventura, a Bari disse di allenare per libidine. E oggi?
«Libidine continua (ride, ndr )».
Sembrava impossibile, ma potreste fare anche meglio dei 57 punti dell’anno scorso.
«Non è questo l’obiettivo, anche se non tutti l’hanno capito. Abbiamo cambiato moltissimo, a livello di uomini e come modo di stare in campo. Pensiamo a dare continuità alla crescita individuale di chi è qui da tempo, come Glik e Darmian per esempio, inserendo e valorizzando i vari Jansson, Martinez, Gaston Silva. Poi, tanto di guadagnato se sapremo fare meglio del passato, ma l’importante è crescere su basi solide».
Bilbao-Torino profuma di grande Europa .
«C’è tanto orgoglio per una sfida che ci siamo guadagnati sul campo, superando un girone nel quale avevamo come avversarie Copenaghen e Bruges: i danesi sono stati una trappola anche per la Juve; i belgi sono il punto di rifermento di un calcio in grandissima ascesa».
Possibilità con gli spagnoli?
«Se saremo gli stessi delle gare interne con Bruges e Sampdoria, ce la giocheremo alla grande».
A detta di gran parte della critica lei ha proposto spettacolo un po’ ovunque, in particolare a Lecce, Cagliari, Pisa, Bari e appunto Torino. Crede di essere stato sottovalutato in carriera?
«Mi chiedono spesso: chi glielo fa fare dopo tanti anni a ricominciare ogni volta da capo? Oppure: perché non ha mai allenato una big? Alla prima domanda rispondo che piacere ed entusiasmo sono sempre vivi in me. E riguardo al grande club, mai dire mai...».
Già, cosa farà da «maggiorenne» Ventura?
«Mi piacerebbe sedere sulla panchina di una Nazionale...».
Magari dopo Conte...
«L’Italia sarebbe il massimo, credo di poter dare qualcosa di importante anche su questo fronte».
Che ne pensa della tendenza a promuovere subito tecnici a gavetta zero? Prova rabbia?
«Né rabbia né preoccupazione. Semmai rifletto: molti presidenti evidentemente non considerano decisivo il ruolo dell’allenatore. E sbagliano di grosso, soprattutto in presenza di una rosa da costruire o ricostruire sotto ogni punto di vista».
L’Italia non produce più talenti: è il punto più basso di sempre del nostro calcio?
«Non so se sia il più basso, di sicuro è un brutto momento. E siamo tutti responsabili. Vedo carenza di cultura sportiva un po’ ovunque, specie nei posti chiave. Sento parlare di programmazione, settori giovanili da rifondare: dibattiti che durano qualche giorno, poi tutto come prima. Mancano pazienza e coerenza, è l’Italia».
Lei cosa farebbe come intervento iniziale? Allegri, per esempio, propone l’abolizione della zona almeno fino alla categoria Allievi...
«A livello giovanile non si dovrebbe prescindere dal gesto tecnico. Ai miei tempi ogni esercizio in allenamento tendeva alla cura del pallone. Non ha senso riempire di tattica la testa di un ragazzino, così come è assurdo andare a caccia del risultato nei vari campionati giovanili. Ma ci vorrebbe un salto di qualità generale. Oggi la polemica in generale ha il sopravvento, e gli stessi media finiscono per mettere spesso in secondo piano la grande giocata».
Qual è stato il miglior Ventura di sempre? Pisa, Bari o Torino?
«Dovete ancora vederlo...».
Ha già individuato un erede?
«Beh, andrò avanti ancora per molto. Sono però debitore verso tutto il mio staff, professionisti seri, eccezionali. A un presidente consiglierei il mio vice (Salvatore Sullo, ndr ) e il resto dei ragazzi che lavorano con me».
Il treno mancato?
«Sono stato a un passo dalla Fiorentina, erano i tempi di Cecchi Gori e Sconcerti».
E la Juve?
«Sì, più o meno in quegli stessi anni ci fu un loro interesse».
Il grande rimpianto?
«Aver accettato la Sampdoria nel 1999, dopo un periodo bellissimo al Cagliari. Lo feci per affetto, per la mia città, non avrei dovuto, finì male: quella scelta mi precluse molte buone occasioni».
E’ il Bari 2009-2010 il suo capolavoro?
«Anche a Pisa, quando passammo definitivamente al 4-2-4 avevamo la tribuna piena di addetti ai lavori che venivano a studiarci».
A Bari mandò a lungo in tilt l’Inter del Triplete, fece 50 punti e regalò calcio meraviglioso...
«Mourinho venne a farci i complimenti per quel 2-2 a Bari. E tempo dopo, alla Panchina d’oro, mi disse: ‘Se l’anno prossimo sarò ancora in Italia, voterò per te”. Parole sincere: eravamo lontani dalle telecamere».
Ha mai avuto un modello?
«Copiare è sbagliato, bisogna però sempre studiare e poi trovare la propria ispirazione. Faccio due nomi: Sacchi ha tracciato un solco; e innovativo fu anche il meno celebrato Delneri ai tempi del Chievo».
E oggi?
«Di Francesco sta proponendo qualcosa di interessante. All’estero mi piacerebbe guardare il lavoro di Guardiola. E credo che anche il Bruges sia un fenomeno da seguire».
Come va con Cairo?
«Molto bene, sempre meglio, è un rapporto che si consolida giorno dopo giorno. D’altronde, senza la giusta intesa non si resta insieme per quattro anni».
E se il presidente riconsegnasse al popolo granata anche il Filadelfia?
«Sarebbe grande. Prima di lasciare il Toro mi piacerebbe davvero dirigere almeno un allenamento al Filadelfia. Quando arrivai in città mi impressionò vederlo in quelle condizioni, lì ci giocai da ragazzo, contro la Primavera granata e mi ruppi pure il naso (sorride, ndr ). Deve risorgere quell’impianto, è un pezzo di storia d’Italia. Il Grande Torino non fu solo una squadra di calcio, rappresentò di fatto l’inizio concreto del riscatto anche internazionale del popolo italiano tutto, fiaccato e a tratti umiliato dalla guerra».