Mattia Feltri, La Stampa 13/2/2015, 13 febbraio 2015
DIECIMILA FISCHIETTI A ROMA E LA SALUTE TORNA D’INCANTO
Immaginate l’imbarazzo: un vigile urbano alla guida di un furgone aperto a nolo Amico Blu si sporge dal finestrino e fa un gesto da rapper, pollice indice e mignolo sventolati al cielo; dietro, un suo collega è aggrappato alle casse che pompano musica da rave, come alle manifestazioni dei no global; si direbbe il desiderio di essere come gli altri, oltre il disagio di vivere un giorno dalla parte sbagliata del fronte: sono diecimila circa, sfilano al centro della strada e dell’attenzione, invece che ai lati per garantire l’ordine; impugnano i megafoni, mostrano gli striscioni per dichiarare la provenienza o la sigla sindacale cui appartengono, Ospolice, Ospol, Sapol, Arvu, Anvu, Csa. Indossano la divisa o anche soltanto la pettorina fosforescente, oppure il casco, gli stivali, si vedono molti occhiali da sole con le lenti a goccia, e c’è da trasalire - trasaliscono i passanti e i turisti - a vedere il vigile che incita il coro e tiene il ritmo di un «vergogna / vergogna». Squassano Roma con migliaia di fischietti in cui soffiano contemporaneamente, come per dirimere il più colossale ingorgo della storia. Accennano passi di danza attorno a pancette da mezza età. Alzano le braccia per un’impacciata coreografia. Distribuiscono sorrisi accattivanti e volantini a chi vuole sapere. Già che ci sono danno indicazioni ai giapponesi che ne approfittano.
Diecimila fischietti
Dunque: diecimila da tutta Italia, tutti solidali con la categoria romana messa sotto accusa per l’imboscamento di Capodanno, settecentosessantasette caduti in malattia fra il 31 dicembre e il 1° gennaio. Il segretario della Csa, Stefano Lolli, dà la linea: «Se c’è qualcuno che ha imbrogliato, lo accerterà la magistratura e sarà punito. Ma non è un buon motivo per gettare fango su un’intera categoria». È una frase che diventa una parola d’ordine, ripetuta di bocca in bocca a ogni approccio. «Ma erano quasi ottocento!». Erano molti di meno, rispondono, e comunque lo stabilirà il giudice. Basta questo per sfidare un governo, un Comune e anche il senso del buon gusto, perché da qui si parte - dal fango - per la vera rimostranza di giornata, la riforma «attesa da 29 anni».
Lavoro inquadrato
In due righe, chiedono di essere parificati contrattualmente alla polizia, con le tutele professionali e sanitarie conseguenti, mentre ora hanno l’inquadramento dell’impiegato. «I sindaci dispongono di noi come meglio credono, c’è chi ci manda ad aprire i cimiteri o a chiudere i cessi pubblici», dirà più tardi Lolli dal palco a Bocca della verità. Lamentano che i loro Cud si sono alleggeriti di tremila euro negli ultimi quattro anni. Ma insomma, serve un certo coraggio per bloccare il centro di Roma lungo un’intera mattinata e con la fama di cui si gode in genere, e a maggior ragione negli ultimi mesi.
Poi di cose strane se ne sono viste parecchie. Le più strane erano i blindati della polizia schierati a bloccare ogni via laterale del percorso, blindati a presidiare il Campidoglio, la via del Corso verso il Parlamento, decine e decine di blindati e persino l’elicottero a sorvegliare dall’alto. «Non siamo no Tav!», gridavano lividi dal corteo. E in effetti non sarà certo la giornata dell’assalto ai bancomat. È la giornata di questo sfuggente orgoglio, proposto con tempismo infelice e nella città meno disposta a sentire, raffigurato sulle giacche con la faccia stilizzata dell’Urlo di Edvard Munch, simbolo di un grido inascoltato, e issato su picche fino alle telecamere d’ingresso delle zone a traffico limitato, oppure trascritto su striscioni che provano a buttare tutto in un derby fra caste, «corrotti voi, indagati noi», «fiancheggiato dai massmedia hai montato ’sta commedia», «colpire la polizia locale per coprire mafia capitale». È la giornata di questo mondo al contrario, coi vigili che giunti alla scalinata del Campidoglio procedono all’indietro, per offrire le spalle al comune, e alzare un «buffone buffone» al sindaco Ignazio Marino, e altrettanto apprezzamento toccherà duecento metri dopo al comandante dei vigili romani, Raffaele Clemente.
Striscioni e slogan
I romani si sono presi tutto, si sono mangiati la manifestazione, e si sono meritati le occhiate di traverso dai marciapiede e le risatine ovvie per una ritrovata salute di ferro. E risatine per l’inadeguatezza, effigiata in un cartello col faccione di Alberto Sordi dichiarato il «vigile più famoso d’Italia», lui che dei vigili fece parodia efferata, e su quel cartello si pratica autolesionismo: «Questa mano po esse piuma e po esse fero», citazione non nobilissima da un film con cui Sordi non c’entra nulla. Boh. Si sale sul palco, si dicono cose anche sacrosante mentre il vento soffia in altra direzione, e mentre l’ultimo oratore chiude in altissima sintonia: «Adesso basta! Dovete andare a fare in c...». Gli altoparlanti salutano e danno la sigla di chiusura, ancora Sordi: «Te c’hanno mai mannato a quer paese?». È proprio questo il punto.