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 2015  febbraio 12 Giovedì calendario

AMORE ALL’ULTIMO DATO


Chris McKinlay era chiuso in un cubicolo al quinto piano dell’edificio di scienze matematiche dell’Ucla (University of California, Los Angeles), illuminato da un’unica lampadina e dal bagliore del suo monitor. Erano le tre del mattino, l’ora ideale per estrarre cicli dal supercomputer del Colorado che Chris stava utilizzando per la sua tesi di PhD (argomento: processazione dei dati su larga scala e metodi di calcolo parallelo). Mentre il computer lavorava, il giovane apri con un clic una seconda finestra, per controllare la sua casella di OkCupid.
McKinlay, un trentacinquenne allampanato con i capelli in disordine, era uno dei circa 40 milioni di americani alla ricerca di avventure sentimentali su siti come Match.com, JDate o eHarmony, e la ricerca fino a quel momento era stata vana. Aveva spedito dozzine di stucchevoli messaggi di presentazione alle donne indicate come possibili partner dagli algoritmi di OkCupid, rimediando sei miseri primi appuntamenti.
In quella notte del giugno 2012, mentre il suo deprimente profilo sentimentale vegetava inattivo, a McKinlay venne in mente che forse stava sbagliando. Aveva affrontato la ricerca Online dell’anima gemella come un qualunque utente, mentre avrebbe dovuto cercare le ragazze con modalità da matematico.
OkCupid è stato fondato nel 2004 da studenti di matematica di Harvard, e ha conquistato i potenziali spasimanti con il suo approccio computazionale alla ricerca dell’anima gemella. Gli utenti rispondono a caterve di domande a scelta multipla su argomenti di ogni genere, dalla politica alla religione, dalla famiglia all’amore, dal sesso agli smartphone.
In media, un iscritto risponde a 350 domande. Per ogni domanda, l’utente specifica la sua risposta e quali risposte troverebbe accettabili da parte di un eventuale partner, oltre a valutare quanto la domanda sia per lui/ lei importante, su una scala che va da uno a cinque, da “irrilevante” a “fondamentale”. Il motore di abbinamento di OkCupid utilizza questi dati per calcolare la compatibilità di una coppia. Più ci si avvicina al 100% – anima gemella matematica – meglio è.
Però matematicamente parlando la compatibilità di McKinlay con le donne di Los Angeles era terribile. Gli algoritmi di OkCupid usano solo le domande cui entrambi i potenziali piccioncini hanno deciso di rispondere, e le domande che McKinlay aveva scelto si erano rivelate ben poco popolari. Quando il giovane matematico passò in rassegna gli abbinamenti, vide che meno di 100 donne superavano il 90% di compatibilità. E si parlava di una metropoli con circa due milioni di donne, 80mila delle quali su OkCupid. Su un sito in cui la compatibilità equivale alla visibilità, McKinlay era praticamente un fantasma.
Si rese conto di dover far salire, e di molto, quei numeri. Se per mezzo di un campione statistico fosse riuscito a stabilire quali domande stavano a cuore alle donne che gli piacevano, avrebbe potuto crearsi un nuovo profilo per rispondere onestamente a queste domande e lasciar perdere le altre. Avrebbe potuto abbinarsi a ogni donna di Los Angeles potenzialmente adatta a lui, e a nessuna di quelle inadatte.

MCKINLAY È UN TIPO INSOLITO anche per una comunità insolita come quella dei matematici. Cresciuto in un sobborgo di Boston, si è laureato in cinese nel 2001. Nell’agosto di quello stesso anno ha cominciato a lavorare part-time a New York, traducendo dal cinese all’inglese per un’azienda al 91° piano della torre settentrionale del World Trade Center. La torre è crollata cinque settimane dopo. (Quel giorno McKinlay era atteso in ufficio per le due del pomeriggio. Stava ancora dormendo quando alle 8.46 del mattino il primo aereo colpì la torre). «E dopo mi domandai che cosa volessi fare veramente», dice. Un amico della Columbia lo reclutò per conto del famoso team professionale di blackjack del Mit, e McKinlay trascorse gli anni successivi viaggiando tra New York e Las Vegas, contando carte e guadagnando 60mila dollari l’anno. L’esperienza acuì il suo interesse per la matematica applicata, spingendolo a prendere un master e poi un PhD in quel campo. Ora avrebbe usato la matematica applicata per vincere in amore. Però gli occorrevano i dati. Così creò 12 account OkCupid falsi e uno script Python per gestirli. Lo script avrebbe cercato donne tra i 25 e i 45 anni, visitato le loro pagine e scandagliato i profili a caccia di ogni informazione disponibile: etnia, altezza, fumatrice o non fumatrice, segno zodiacale. «Tutta quella robaccia lì, insomma». Per scoprire quali fossero le risposte al questionario, McKinlay fece altre indagini. OkCupid consente agli utenti di vedere le risposte altrui, ma solo se si tratta di domande cui loro stessi hanno risposto. Lui fece in modo che i suoi bot si limitassero a rispondere in modo casuale a ogni domanda – non avrebbe usato quei profili finti per attirare le donne, quindi le risposte non avevano importanza – e poi raccolse in un database le risposte femminili.
McKinlay osservò con soddisfazione i suoi bot agire ronzando. E poi, dopo aver raccolto circa un migliaio di profili, si imbatté nel primo blocco stradale. OkCupid previene questo tipo di incetta di dati, adocchiando con grande facilità i profili che si muovono come una mitragliatrice. Tutti i suoi bot furono bannati.
McKinlay avrebbe dovuto addestrarli a comportarsi come esseri umani. Si rivolse all’amico neuroscienziato Sam Torrisi. E lui, che era anche su OkCupid, installò dello spyware sul proprio computer per monitorare l’uso personale del sito. Dati alla mano, McKinlay programmò i suoi bot in modo che simulassero la frequenza dei clic e la velocità di digitazione di Torrisi. Collegò un secondo computer alla banda larga del dipartimento di matematica, in modo che potesse lavorare 24 ore su 24.
Dopo tre settimane aveva collezionato sei milioni di domande e risposte di 20mila donne di ogni parte del paese. La tesi passò in secondo piano, mentre lui si tuffava nei dati di OkCupid. Già trascorreva la maggior parte delle notti nel cubicolo, finì per trasferircisi. Per dormire stendeva un materassino sulla scrivania.
Perché il suo piano funzionasse, McKinlay avrebbe dovuto scoprire un pattern, uno schema ricorrente, nei dati relativi al questionario – un modo per raggruppare sommariamente le donne in base alle loro caratteristiche comuni. La svolta ci fu quando scrisse K-modes, un algoritmo dei laboratori Bell modificato, usato per la prima volta nel 1998 per analizzare i raccolti di soia malati. Alla fine scoprì un punto di equilibrio naturale, in cui le 20mila donne si aggregavano in sette distinti cluster, in base alle domande scelte e alle risposte date. A quel punto ordinò ai suoi bot di raccogliere un altro campione: 5000 donne di Los Angeles e San Francisco che si erano iscritte a OkCupid nell’ultimo mese. Un altro passaggio attraverso K-modes confermò che si raggruppavano anche queste in modo simile. Il suo campione statistico aveva funzionato.
Ora doveva decidere quale fosse il cluster più adatto a lui. Analizzò alcuni profili tratti dai singoli raggruppamenti. Un cluster era troppo giovane, due troppo vecchi, un altro ancora troppo cristiano. Si soffermò su un gruppo di donne attorno ai venticinque anni, ambiente indie, musiciste e artiste. Quello era il cluster d’oro. Da qualche parte, lì dentro, stava il vero amore. In realtà anche un cluster prossimo a quello pareva assai promettente: donne leggermente più anziane con lavori creativi, redattrici o designer. McKinlay decise di puntare su entrambi. Aveva creato due profili, uno ottimizzato per il gruppo A, l’altro per il gruppo B. Scavò in quel che scrivevano i due raggruppamenti per capire che cosa interessasse a quelle donne; scoprì che l’insegnamento era un argomento popolare, così scrisse una biografia che enfatizzava il suo lavoro di professore di matematica. La parte importante, tuttavia, sarebbe stata quella del questionario. McKinlay scelse le 500 domande più importanti per entrambi i cluster. Aveva già deciso di dare risposte sincere – non voleva costruire la sua futura relazione su bugie. Ma l’importanza di ogni domanda l’avrebbe stabilita il computer, usando un algoritmo di machine learning chiamato adaptive boosting.
E a quel punto creò due profili: in uno c’era una foto di lui che arrampicava in parete, nell’altro una foto di lui che suonava la chitarra in un locale. «Lasciando perdere i piani futuri, cosa ti interessa di più in questo istante? Sesso o amore?», diceva una delle domande. Risposta: l’amore, ovvio.
Dopo avere risposto all’ultima domanda, McKinlay lanciò una ricerca su OkCupid, per avere le percentuali di compatibilità tra sé e le donne di Los Angeles. Risultato: circa diecimila donne di ogni parte di Los Angeles con oltre il 90% di compatibilità.
Per farsi notare doveva compiere un ulteriore passaggio. Gli utenti di OkCupid ricevono una notifica quando qualcuno visita le loro pagine, quindi McKinlay scrisse un nuovo programma per visitare le pagine delle donne con la compatibilità più alta, con turni in base alle età: mille quarantunenni il lunedì, mille quarantenni il martedì. Due settimane dopo era arrivato alle ventisettenni. Le donne, più o meno 400 ogni giorno, ricambiarono visitando i suoi due profili. E cominciarono ad arrivargli messaggi.
«Finora non mi era mai capitato di incrociare nessuno con numeri così vincenti, e trovo che il tuo profilo sia molto interessante», scrisse una donna.
«Ehi tu, il tuo profilo mi ha davvero colpita e volevo dirti ciao», digitò un’altra.
«Sei davvero capace di tradurre dal cinese?», chiedeva una terza. La parte matematica della ricerca di McKinlay era fatta.
Ora doveva uscire dal loculo e fare una ricerca sul campo. Avrebbe dovuto affrontare una serie di appuntamenti.

IL 30 GIUGNO, MCKINLAY si fece una doccia nella palestra dell’Ucla e attraversò la città per recarsi al primo appuntamento. Sheila era una web designer, faceva parte del raggruppamento A, quello con le giovani artiste. Si incontrarono per pranzare insieme in un caffè a Echo Park. «La cosa mi metteva una gran paura», dice McKinlay. «Fino a quel momento si era trattato quasi di un esercizio accademico».
Alla fine dell’incontro con Sheila, era chiaro a entrambi che non c’era attrazione reciproca. Lui il giorno successivo andò al secondo appuntamento – un’attraente blogger del cluster B. McKinlay aveva programmato una passeggiata romantica attorno al lago di Echo Park, ma ne stavano dragando il fondo. La blogger leggeva Proust e non era affatto soddisfatta della propria vita. «Fu un po’ deprimente», ricorda McKinlay.
Anche l’incontro numero tre faceva parte del gruppo B. McKinlay si vide con Alison in un bar di Koreatown. Lei studiava sceneggiatura cinematografica, e su una spalla aveva un tatuaggio con la spirale di Fibonacci. McKinlay prese una sbronza di birra coreana, e l’indomani si svegliò con la testa che gli scoppiava. Mandò a Alison un messaggio su OkCupid per sapere come stesse, ma lei non rispose.
Il rifiuto bruciava, ma stava ancora ricevendo 20 messaggi al giorno. Fissare appuntamenti con i suoi profili assistiti dal computer era un gioco completamente diverso. McKinlay poté ignorare i messaggi che si limitavano a una battutina scadente. Rispose a quelli che facevano intuire un buon senso dell’umorismo o che si accompagnavano a biografie interessanti. Giunto al ventesimo appuntamento vide emergere alcune variabili latenti. Nel gruppo più giovane, le donne invariabilmente avevano due o più tatuaggi e vivevano nella zona orientale di Los Angeles. Nell’altro cluster un numero sproporzionato di donne possedeva un cane di taglia media, e lo adorava.
I primi appuntamenti erano stati pianificati con cura. Ma via via che small’iva febbrilmente la coda, McKinlay passò a incontri pomeridiani più informali, a pranzi e caffè, spesso infilando due appuntamenti in un solo giorno. Si creò un sistema di regole personali, per arrivare in fondo a quella maratona di ricerca amorosa. Niente più alcolici, tanto per cominciare. Mettere fine all’incontro quando era l’ora, e non trascinarlo. E niente concerti o film. «Niente situazioni in cui l’attenzione si concentra su un terzo oggetto, e non sulla coppia. In quelle occasioni viene meno l’efficienza». Dopo un mese di appuntamenti, McKinlay capì che stava perdendo troppo tempo con le donne tatuate, quelle che abitavano nella zona orientale. Eliminò il suo profilo A. La sua efficienza crebbe, ma i risultati furono i medesimi. L’estate volgeva al termine, lui aveva avuto oltre 55 appuntamenti. Solo tre avevano portato a un secondo appuntamento; in un unico caso si era arrivati al terzo. Quasi tutti coloro che affrontano fallimenti di questo tipo vedono vacillare la propria autostima. Per McKinlay era peggio ancora. A essere messi in dubbio erano i suoi calcoli.
Poi gli arrivò il messaggio di Christine Tien Wang, un’artista ventottenne, militante per l’abolizione delle carceri. McKinlay si era imbattuto nella sua richiesta di tizi alti oltre 1.80, con gli occhi azzurri e abitanti nei pressi dell’Ucla, dove lei stava prendendo un master in belle arti. Risultavano compatibili al 91%.
Si incontrarono nel giardino delle sculture, nel campus. Da lì andarono a mangiare il sushi in un locale del college. McKinlay provò subito una sensazione speciale. Parlarono di libri, arte, musica. Quando Christine confessò di avere ritoccato un po’ il profilo prima di mandargli un messaggio, lui in risposta le raccontò tutta la storia dell’hackeraggio amoroso. Dall’inizio alla fine. «Mi parve una storia oscura e cinica», dice oggi Christine. «Mi piacque».
Era il loro primo appuntamento, il numero 88. Fu seguito da un secondo e poi da un terzo. Dopo due settimane entrambi chiusero il proprio account OkCupid.

«PENSO CHE LA MIA FOSSE una versione appena appena più algoritmica, più su larga scala e basata sul machine learning di ciò che fanno tutti gli utenti di quel sito», dice McKinlay. Ognuno cerca di crearsi un profilo ottimale – la differenza è che lui aveva a disposizione dei dati per fabbricarne uno.
È passato un anno da quel loro primo appuntamento, e intervisto McKinlay e Tien Wang nel sushi bar di Westwood in cui tutto è iniziato. McKinlay ha preso il PhD; insegna matematica e sta seguendo un master in musica. Tien Wang ha ottenuto una borsa di studio per un anno, in Qatar. In questi giorni è in California perché è venuta a trovare McKinlay. Si sono tenuti in contatto via Skype, e lei è già tornata un paio di volte. Dietro mia richiesta McKinlay ha portato con sé il quadernetto del laboratorio. Tien Wang non l’aveva mai visto, prima d’ora. Sono pagine su pagine di formule ed equazioni, e si concludono con un elenco ordinato di donne e appuntamenti. Tien Wang lo passa in rassegna, ridendo di alcuni passaggi. Nota che il 24 agosto il suo fidanzato portò due diverse donne nella stessa spiaggia. «Ma che orrore», dice.
Per Tien Wang quella dell’hackeraggio di OkCupid è una storia divertente. Ma la matematica e i codici sono stati solo il prologo del loro amore. «La gente è molto più complicata di quanto non ci mostri un profilo», dice Christine. «Quindi magari ci siamo conosciuti in modo un po’ superficiale, ma tutto quello che è successo dopo non è stato affatto superficiale. Lo abbiamo fatto crescere lavorandoci un sacco».
«Non è che siccome eravamo compatibili, zac, era fatta», concorda McKinlay. «Quello è stato solo un meccanismo per incontrarci. Sono riuscito a usare OkCupid per trovare una donna». Christine a questo punto si irrita. «Non sei stato tu a trovarmi. Ti ho trovato io», dice toccandogli il gomito. McKinlay ci riflette e poi ammette che la sua fidanzata ha ragione.
Una settimana dopo questo incontro Tien Wang è tornata in Qatar, e la coppia è impegnata in una delle chiamate Skype quotidiane quando McKinlay tira fuori un anello con diamante e lo esibisce davanti alla webcam. Christine accetta la proposta.
Non sono ancora sicuri della data del matrimonio. Devono fare ancora qualche ricerca per determinare il giorno perfetto per le nozze.