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 2015  febbraio 12 Giovedì calendario

LE POPOLARI TRA INDAGINI CONSOB E QUEL SOGNO DEL GRANDE POLO

Due sono i fatti nuovi sul caso Popolari: le ipotesi di concentrazioni che cominciano a essere prospettate e gli accertamenti in corso della Consob, di cui ha parlato ieri in audizione parlamentare il presidente Giuseppe Vegas, il quale ha dato un giudizio positivo della riforma rilevando però che sono state riscontrate anomalie nell’operatività di alcuni intermediari nei giorni precedenti l’ufficializzazione del decreto da parte del governo (in particolare, tra il 3 e il 16 gennaio Consob ha rilevato «un’operatività potenzialmente anomala, in grado di generare profitto», con plusvalenze reali o potenziali stimate in circa 10 milioni per alcuni intermediari). È un classico dei periodi di transizione ipotizzare maxi-aggregazioni nel campo bancario. Nella fase in cui non era ancora venuta a compimento la riforma della banca pubblica, realizzata agli inizi degli anni 90, si formulò il progetto della Cassa di Risparmio Centrale, cui avrebbero partecipato le consorelle distribuite sul territorio nazionale. Il progetto fu di Roberto Mazzotta; se ne discusse molto, si rilevò anche una variante dell’intento egemonico della Democrazia Cristiana sul mondo delle casse di risparmio (Mazzotta era stato vicesegretario della Dc), ma poi non se ne fece nulla, innanzitutto perché sarebbe stato difficilissimo sminuire l’autonomia delle quasi cento casse, molte delle quali caratterizzate da un forte localismo. Poi sopravvenne la riforma della banca pubblica con la previsione del conferimento d’azienda: il risultato fu che a fronte di ogni cassa vennero a sussistere la fondazione e la banca vera e propria, dalla prima scorporata in forma di spa.
Un’idea - quella della Superpopolare, ma con più limitate aggregazioni - comincia ora a circolare in correlazione con il percorso legislativo del decreto legge che ha disposto la trasformazione in spa delle Popolari con più di 8 miliardi di attivi: insomma, la fine dell’appartenenza alla categoria cooperativistica di questi istituti. Ora sono state avviate le audizioni parlamentari per avere un quadro completo ai fini della conversione del decreto. Ma intanto in Commissione alla Camera è stato dato il via libera sulla costituzionalità del provvedimento, che l’opposizione aveva cercato di bocciare contestando la ricorrenza dei requisiti di necessità e urgenza del decreto. Naturalmente ciò non significa granché per chi volesse intraprendere un ricorso in sede giurisdizionale contro il provvedimento e, davanti al giudice amministrativo, sollevare l’eccezione di incostituzionalità, che, se accolta, comporterebbe un giudizio della Consulta, la quale non sarebbe la prima volta che censura la mancanza dei predetti requisiti, anche se il Parlamento li ha ritenuti presenti: da ultimo, si veda il caso del decreto sulla Robin Tax appena bocciato dalla Consulta. Le censure proponibili sul piano della costituzionalità non sono poche, compresa quella della ragionevolezza della misura che esclude dall’obbligatorietà della trasformazione le cooperative di beni e servizi non bancari. E la sana e prudente gestione di una banca non può essere il passepartout che giustifica ogni limitazione e differenziazione.
Tuttavia la strada giurisdizionale potrebbe essere imboccata solo come extrema ratio, qualora cioè anche proposte di emendamento logiche e realistiche venissero respinte e si pretendesse l’intangibilità del decreto, magari ponendo la questione di fiducia. Sarebbe una pericolosa prova di forza. Il precedente della normativa sulle fondazioni, testardamente voluta nella sua interezza dal governo dell’epoca e poi fulminata dalla Corte Costituzionale, dovrebbe essere un insegnamento. In effetti, la possibilità dell’accoglimento in sede parlamentare di alcuni emendamenti comincia a fare capolino, visto che un esponente del Pd ha prospettato l’opportunità di introdurre un tetto del 3 o del 5% ai diritti di voto in modo da dare vita a istituti che, pur avendo perso la natura di banche della cooperazione, vengono strutturati come public company. Non è l’optimum, ma insieme con qualche altra modifica - per esempio, la costituzione a latere della banca di una fondazione con finalità solidaristiche e mutualistiche, alimentata da una quota degli utili dell’ex Popolare, nonché la decisione sul voto plurimo - darebbe un segnale di bilanciamento delle diverse esigenze, senza scardinare la riforma.
Intanto, come accennato, si pongono ai nastri di partenza per progetti di aggregazione alcune Popolari. Fra queste la Bpm, che in passato l’allora presidente, lo stesso Mazzotta, avrebbe voluto far maritare con la Popolare dell’Emilia sulla base di un progetto purtroppo avversato dal personale organizzato dalla poi soppressa associazione Amici della Popolare; un’iniziativa che, se invece fosse stata realizzata, probabilmente avrebbe tolto molte delle ragioni alla tesi della necessità della riforma ex lege. Si sarebbe cioè imboccata una specie di strada di autoriforma in banche di particolare rilievo, che avrebbero potuto fungere da esempio. All’opposto, si preferì rimanere fermi e scegliere una governance che dopo poco naufragò e furono avviate iniziative giudiziarie tuttora in corso. Furono poi necessarie le capacità di Piero Montani per risalire la china con il valido seguito oggi di tutto il management della Bpm. Le aggregazioni saranno da farsi se ne esistono le condizioni, l’opportunità e, in alcuni casi, la necessità; non sono fini a se stesse; non vanno perseguite per desiderio di gigantismo; debbono continuare a mantenere attenzione al localismo, del quale si contesta la sottovalutazione da parte del governo. Insomma, si stanno aprendo opportunità, ma sono presenti anche rischi. È cruciale comunque trovare una soluzione per i problemi che il decreto pone e non dimenticare che tutto deve essere finalizzato non ai takeover o alle commissioni degli intermediari o ai capital gain, ma a far meglio corrispondere l’azione delle banche alla ragion d’essere delle stesse: tutelare il risparmio e concedere prestiti.
Quanto all’indagine della Consob, Vegas, che ha precisato che l’Authority ha chiesto nuovi chiarimenti a intermediari, ha assicurato rigore e tempestività. La conoscenza dei fatti, di eventuali casi di insider trading o di altri illeciti, sarà fondamentale anche per la conversione del decreto: sarà quantomai necessario, dunque, che i risultati arrivino prima che si decida la conversione.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 12/2/2015