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 2015  febbraio 07 Sabato calendario

AUNG FUORI GIOCO


Ogni giorno che passa si assottigliano le speranze di vedere Aung San Suu Kyi – la Nelson Mandela birmana, leader non violenta vittoriosa agli occhi del mondo su un regime durato più di mezzo secolo – candidata alle prossime elezioni presidenziali di novembre.
A nulla sembra servire il supporto di un Occidente che da 4 anni ha tolto l’embargo al Paese, proprio grazie alla liberazione della Lady dopo 20 anni agli arresti. Prima la commissione parlamentare per le riforme ha bloccato la discussione del cambio all’articolo 59 della Costituzione (che impedisce l’accesso alle massime cariche pubbliche a chi sposa uno straniero, come Suu Kyi). Poi il governo ha reso nota una lettera inviata al Parlamento dal presidente Thein Sein in cui il “volto buono” del regime toglie ogni speranza di cambiamento. Scrive Sein che «le eventuali riforme della Costituzione e delle leggi sono da effettuare attraverso l’Hluttaw (l’Assemblea nazionale che vede il 25% di posti assegnati ai soldati e un altro 70% al partito di maggioranza filo-militare, ndr) e con l’approvazione di un referendum». E si noti l’uso del termine “eventuali”.
Va aggiunto che quando il comitato parlamentare tornerà a riunirsi, i punti controversi – per esempio i diritti di milioni di membri delle minoranze etniche – saranno così tanti da lasciare poco spazio a quell’articolo 59 che riguarda di fatto solo Aung. Insomma, prima che sia candidabile, un altro siederà già sulla poltrona più ambita.
Se è facile immaginare lo sdegno occidentale, il dubbio qui è su come reagirà la Lega nazionale per la democrazia e il popolo, il partito espropriato del diritto di eleggere la propria paladina. Molti spingono per un boicottaggio delle urne, altri per appoggiare un candidato moderato del passato regime per non tagliare fuori la Lady da una futura corsa al vertice. Per tutti, comunque, un triste risveglio da un’illusione: che la giunta militare avesse perso sia il pelo che il vizio.