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 2015  febbraio 07 Sabato calendario

PROVATE VOI A ESSERE ME


[Mauro Icardi]

Chi è Mauro Icardi, prima d’ogni altra cosa? Un calciatore viziato, rissoso e perennemente al centro del gossip oppure un giovane uomo di neppure ventidue anni che da quando ne ha venti fa da padre putativo a tre figli non suoi? Che s’è innamorato della moglie di un compagno di squadra, vero, ma che quella stessa donna, più anziana e col segno di tre parti cesarei sulla pelle, ha subito sposato, con piglio quasi cavalleresco? E soltanto dopo, come aveva promesso, ha preteso una figlia sua e l’ha chiamata Francesca, come il papa? A patto che pesi e percentuali siano ristabiliti, Icardi, centravanti dell’Inter e argentino di Rosario, è tutte queste cose assieme. Uno che parla sì-sì, no-no. Milleottocento tweet all’attivo contro i sessantaquattro di un coetaneo come Mattia De Sciglio. Un uomo-bambino che sorride senza sosta, e che gioca a calcio e all’esistenza più a viso aperto di molti all’ri. L’abbiamo incontrato a Lugano, nel quartier generale dello stilista Philipp Plein di cui è diventato da poco testimonial. Seduti in una sala riunioni psichedelica, con un giubbotto di coccodrillo da 80 mila euro addosso (regalo dello stilista, non acquisto sconsiderato del calciatore), abbiamo cercato il vero Mauro. Zigzagando tra la nostra invidia (un po’), i suoi errori (rivendicati), le sorprese, e le contraddizioni.
Icardi, il calcio le piace?
«Beh, è uno sport che mi fa divertire. Però ci gioco e basta, le partite non le guardo mai e di quel che succede nell’ambiente non so nulla».
Cosa ha fatto il Milan domenica?
«Non seguo la serie A».
Chi è arrivato in semifinale di Coppa Italia?
«Men che meno».
Il portiere del Chelsea?
«Beh, quello sì, non sono scemo».
Il calcio le è venuto a nausea quando è diventato un lavoro?
«No, son sempre stato così, sin da ragazzino. Alle giovanili del Barcellona vivevo dentro il Camp Nou, dietro la porta praticamente, e i giorni di gara me ne stavo in camera a guardare film. E non creda che sia l’unico: ce ne sono parecchi di giocatori a cui non frega niente del calcio».
Sua moglie, Wanda Nara, dice che lei è un quarantenne intrappolato nel corpo di un ventenne.
«Ha ragione, è sempre stato così. È da quando ho dieci anni che so di essere più maturo della mia età, e pure le madri dei miei amici me lo dicevano sempre. Merito di mia mamma, che m’ha lasciato libero di prendere le mie belle musate, facendomi capire che la vita non è Disneyland».
Sua madre quanti anni ha?
«È giovanissima: quarantuno. Ed è veramente bella».
Le ha appena dato due fratelli gemelli tra l’altro, frutto di una relazione con un uomo spagnolo.
«Non sono gemelli, sono eterozigoti, in spagnolo si dice mellizos».
Che impressione le ha fatto?
«Eh, mi sono comportato come faceva lei, quando ero bambino. Le ho detto che è giusto così, e che ora deve fare la sua vita. A Natale sono venuti tutti a Milano e siamo stati un po’ insieme».
Quando i suoi genitori hanno divorziato ne ha sofferto?
«Non me n’è fregato niente. Ero già grande e giocavo nella Sampdoria. Chiamavo lui, chiamavo lei, e basta».
Su YouTube gira un documentario di quando viveva a Gran Canaria con la famiglia, in fuga dalla crisi economica argentina. C’è una prof in brodo di giuggiole che dice: «Mauro es un niño studioso, serio, trabajador».
«È vero. Avevo nove e dieci in tutte le materie. Mia madre mi obbligava a studiare e io, zitto, lo facevo».
E com’è che quando fanno le classifiche dei bad boy del calcio ci finisce sempre in mezzo?
«Non me lo chieda, esattamente come non me lo chiedo io. È una cosa che non mi fa né caldo né freddo».
Perché ogni tanto sbroccate, voi calciatori?
È per l’adrenalina che ti dà il calcio, è una cosa fortissima certe volte. Sei arrabbiato, sei carico, perdi 3 a 1 e tac, te ne vai fuori di testa. Siamo modelli di comportamento, me ne rendo conto, ma siamo anche persone, e ogni tanto sbagliamo.
Lei, quarantenne dentro, a casa è un tipo noioso?
«Al contrario, sono sempre impegnato in qualcosa. Magari a mezzanotte mi viene in mente di montare un armadietto e mi metto lì, mentre tutti dormono, con chiavi e bulloni. Con Wanda siamo reduci da un trasloco e ho pensato a tutto io: fare gli scatoloni, scaricare, montare i mobili».
Questo non è un comportamento da milionario: non faceva prima a pagare qualcuno?
«Eh, ho capito, ma farlo mi piace. Wanda mi ha soprannominato Manny Manitas, come il tuttofare di un cartone animato spagnolo».
In Argentina sono girate voci incontrollate sul fatto che lei, in sala parto, avrebbe chiesto di suturare la ferita.
«All’ostetrica l’ho detto davvero, se mi faceva tirare un punticino. Anche perché non sono un tipo che si impressiona facilmente. Ma poi Wanda non mi ha mollato un secondo, voleva che le stessi vicinissimo, e non è stato possibile».
Desidera altri figli?
«No! Basta. Quattro per casa sono sufficienti».
Le manca un po’ di spensieratezza?
«No. Sono le mie scelte, non mi ha costretto nessuno a vivere così. E non mi capita mai di invidiare un compagno senza obblighi».
Perché s’è tatuato sul braccio i nomi dei figli di Maxi Lopez?
«Perché sono tre bambini che passano tutto il giorno insieme a me. Io sono responsabile della loro infanzia».
Come la chiamano?
«Mauro. Oppure papà».
Avete ricominciato a parlarvi, anche solo per il bene dei bambini?
«No. Né io né Wanda. Lopez tutti i giorni telefona, noi leggiamo il nome sul display, e passiamo il telefono ai ragazzi. Fine delle relazioni».
Per il compleanno ha fatto fare a Costantino una torta a forma di Lamborghini. Non la preoccupa trasmettere valori troppo materialisti?
«Quello non c’entra, lui diventa matto per le macchine. A quattro anni ti dice già tutte le marche e i modelli. La Lamborghini bianca, poi, è come la mia».
La vera Lamborghini da calciatore però va fatta coi colori militari.
«E infatti voglio cambiarle colore. Farò una cosa un po’ strana, ma non le anticipo niente».
Lei si considera un tamarro?
«Un po’ sì, dai. Anche il mio procuratore me lo dice sempre».
Per cosa spende i suoi soldi?
«Macchine e orologi».
Quante auto ha?
«La Lamborghini, una Rolls Royce e un Hammer color oro, la mia prima auto, presa di seconda mano quando non ero ancora professionista. Mi hanno appena passato il numero di un ragazzo esperto in personalizzazioni: ora faccio sostituire tutti gli interni».
Orologi?
«Due marche soprattutto: Hublot e Audemars Piguet. Ma mica tanti eh, un paio».
L’orecchino a forma di "M9"?
«Me l’ha fatto un gioielliere. Gli ho ordinato anche questo rosario, vede? Col mio simbolo al centro».
Prossimo tatuaggio?
«Il nome di mia figlia Francesca, sul petto».
Chi è il suo tatuatore a Milano?
«Nessuno. Mi faccio mettere le mani addosso solo da un argentino che vive in Spagna. Lo faccio venire apposta».
«Icardi non doveva giocare, sono incazzato nero». Chi l’ha detto?
«Eh, Maradona, per la storia di Maxi Lopez, dopo la partita organizzata dal papa».
L’ha ferita?
«Macché. Sapevo come la pensava, e ci sono andato lo stesso. Quando mi hanno riportato le sue parole, mi son fatto una risata».
Crede di pagare una punizione troppo severa, per certe sue scelte?
«Non so, io dico solo che la gente deve farsi i cazzi suoi prima di parlare. Pensare alla propria vita, e poi a quella degli altri. Nessuno è pulito al cento per cento».
Di cosa ha più fame, nella vita?
«La fame no, non mi appartiene. Ho un’ambizione: fare bene nel calcio, avere una vita tranquilla, ed essere felice».
Gli infelici chi sono?
«Quelli che ascoltano sempre gli altri».
Lei invece?
«Io non ho mai ascoltato nessuno».
E infatti.
«E infatti non sono felice. Sono felicissimo».