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 2015  febbraio 07 Sabato calendario

L’UOMO CHE SALTA E LA FOTO (QUASI) RUBATA


Jacobus Rentmeester decise che avrebbe scattato la foto all’aperto, in un angolo del campus della University of North Carolina. Mandò i suoi due assistenti a comprare un canestro. Fece tagliare l’erba della collinetta alle spalle, in modo che niente potesse distrarre l’attenzione dal focus dell’immagine. Era l’inizio dell’estate 1984. Stava lavorando per Life a uno speciale dedicato ai protagonisti dell’Olimpiade di Los Angeles. Dopo Carl Lewis, l’ostacolista Edwin Moses e il tuffatore Greg Louganis, adesso era la volta di Michael Jordan. MJ si presentò con indosso la tuta della nazionale americana. Ai piedi aveva un paio di Converse. L’idea di Rentmeester era ritrarlo in elevazione, contro l’azzurro del cielo. Era una posa da balletto, niente che si fosse mai visto su un campo da basket. Si chiama grand jeté e si effettua con un salto da fermo: le gambe aperte in spaccata danno la sensazione del volo. Il fotografo chiese a Jordan di tenere la palla con la mano sinistra, il braccio teso in verticale. Potenti luci stroboscopiche consentirono la ripresa controsole, quasi riducendo la figura di Jordan a una silhouette.
Il servizio uscì. Team Usa vinse l’oro. MJ firmò con la Nike un contratto di 2,5 milioni di dollari per cinque anni, all’epoca un record nel segmento scarpe. Rentmeester fatturò a Peter Moore, il direttore creativo dell’azienda di Beaverton, Oregon, 150 dollari per due diapositive della serie, da usare “solo nella presentazione con le slide”. Ma nel febbraio 1985 il lancio delle Air Jordan venne accompagnato da una campagna pubblicitaria con una foto molto simile a quella pubblicata da Life. Questa volta MJ indossava i pantaloni rossi e neri (i colori dei Bulls) della tuta Air Jordan Flight Suit, teneva il braccio e la gamba destra più tesi, e lo sfondo era occupato dallo skyline di Chicago. Rentmeester minacciò un’azione legale e la Nike pagò 15 mila dollari il diritto di usare per due anni l’immagine che sarebbe diventata nota come il logo del Jumpman.
In vendita a 65 dollari (144 del 2015), le Air Jordan I non furono un enorme successo e incassarono 100 milioni di dollari pi ima di essere sostituite dalle II nel 1986. Entrambe avevano come logo le ali, sormontate dalla scritta Air Jordan. Il Jumpman compariva soltanto sull’etichetta. Con il contratto ormai in scadenza, MJ non era molto contento del suo rapporto con Nike. Peter Moore si era alleato al vicepresidente Rob Strasser contro Phil Knight, il fondatore. Pensavano di fondare una loro società e portarsi via Jordan. Knight assunse Tinker Hatfield e gli fece disegnare le rivoluzionarie III, le prime scarpe da basket basse, con inserti a stampa elefante e il cuscino d’aria in evidenza. Ma soprattutto, sulla linguetta, avevano il Jumpman. Puro genio: in un colpo solo, Hatfield ha tenuto Jordan legato alla Nike, prodotto una delle scarpe di maggior successo di sempre e creato un logo addirittura più riconoscibile di quello della Nba. Nel 1997, il Brand Jordan è diventato una divisione della Nike. L’anno scorso ha fatturato 3,2 miliardi di dollari.
Il 18 dicembre 2014 Rentmeester ha brevettato la foto originale. Il 22 gennaio ha presentato una causa contro la Nike al tribunale federale di Portland, Oregon, per violazione del copyright. Chiede una parte (non quantificata) dei profitti generati dal Brand Jordan e il ritiro dei prodotti dal mercato. Il giudice Michael W. Mosman non ha ancora fissato la prima udienza. E Rentmeester non ha ancora risposto alle mail in cui gli si chiede perché si sia svegliato solo ora. Forse già sapeva che una foto vale mille parole, ma non che può valere una montagna di dollari.