Nicola Lombardozzi, Affari&Finanza 9/2/2105, 12 febbraio 2015
RUSSIA, SI ROMPE LA TELA DEGLI OLIGARCHI
Mosca
Tra l’eco sinistro dei cannoni di Ucraina e i continui scossoni di una crisi economica senza apparenti prospettive, comincia a circolare tra le gente di Russia una inquietante previsione basata su un numero magico: il 63. Entro l’anno, si dice, il valore del rublo si assesterà sui 63 per un dollaro (ne bastavano 34 solo l’ estate scorsa); il prezzo del petrolio al barile si bloccherà sui 63 dollari rispetto ai 50 attuali (devastando comunque l’economia russa che si regge su una previsione non inferiore a 80); e il Presidente Vladimir Putin avrà compiuto 63 anni. A parte quella sugli anni del Presidente, che comunque continua a ostentare grande forma fisica e prontezza di riflessi, le altre previsioni risultano alla luce dei fatti assai ottimistiche. Ma questo clima cupo e di oscure sensazioni sul futuro non sembra preoccupare Putin sulla solidità del suo potere, rafforzato e messo in sicurezza in oltre quindici anni di sapienti operazioni di ritorsione, minacce e anche generosi risarcimenti. In tanti, nella stessa amministrazione Usa, ma soprattutto tra i semiclandestini oppositori russi, confidavano che le sanzioni economiche e l’attuale disastroso momento di crisi, avrebbero di fatto portato a una rivolta, o addirittura a un colpo di Stato, da parte dei cosiddetti oligarchi. I ricchissimi imprenditori multimi-liardari, anima di tutta l’economia russa, e fedelissimi alleati di Putin, hanno visto andare in fumo in pochi mesi oltre 200 miliardi di dollari, più di un quarto del loro patrimonio, tra sanzioni personali, perdita di crediti all’estero, brusca rottura di joint-venture con partner occidentali. Molti di loro, se non tutti, sono convinti di pagare una serie di scelte sbagliate del presidente sia in politica che in economia. Ma preferiscono abbozzare e non sembrano certo covare rivolte. Anzi, fanno a gara nel mostrarsi fedeli, patriottici, e votati alla causa come non mai. La crisi ha portato già profondi cambiamenti nello schieramento degli amici di Putin. Gli uomini più vicini al presidente sono quasi tutti pietroburghesi e in gran parte ex commilitoni dei servizi segreti sovietici. Ma si dividono in due categorie: i gestori del denaro e dei grandi affari che devono essere solo funzionali alle strategie generali, e i “siloviki”, gli addetti alle strutture di forza che sono gli unici autorizzati ad esprimere pareri politici. E, in tempi come questi, i “siloviki”, dal ministro della Difesa Shojgu al consigliere Ivanov, hanno preso il sopravvento. Sono loro che indirizzano, suggeriscono. Propongono, per esempio, di aprire ai commerci con la Cina e i miliardari eseguono pur temendo investimenti non fruttuosi. In generale, gli oligarchi stanno pensando a come salvare il salvabile senza uscire dalle grazie del grande capo. Succede così che uno come Arkadij Rotenberg, banchiere, editore, e padrone della Sgm, la più grande compagnia russa per la costruzione di oleodotti e centrali elettriche, si sia immolato qualche giorno fa nell’impresa di realizzare entro un anno un faraonico ponte che unisca la Russia alla Crimea su pressioni ovviamente del presidente in persona. Un’impresa che politicamente finirà di bruciarlo all’estero, visto che già adesso è al centro delle sanzioni e che si è recentemente visto congelare perfino i suoi beni in Italia. Eppure continua ogni mattina a scambiare qualche presa di judo con il suo amico presidente senza sollevare obiezioni. E che dire di Alisher Usmanov, il più ricco di Russia, grazie al suo conglomerato industriale “Metalloinvest”, ma anche gigante della telefonia (Megafone) e del mondo web (il provider “Mail.ru” e il social network “Vkontakte”)? Usmanov è stato il primo a ubbidire alla “cortese” richiesta di Putin di far rientrare il più possibile i capitali dall’estero, trasferendo in Patria tutti gli asset delle sue compagnie senza fiatare e dando a tutti gli altri il buon esempio da seguire in tutta fretta. E, come se non bastasse, si sta dando da fare anche nelle “piccole cose” ma di grande visibilità. Come racimolare a mo’ di donazione il denaro necessario per pagare lo stipendio di Fabio Capello, allenatore della Nazionale, e mettere così una toppa alla brutta figura internazionale rimediata dalla Federazione calcistica russa. Gli altri, da Gennadij Timchenko, petroliere considerato anche il guardiano della cassaforte personale di Putin, ai fratelli Kovalcjuk, gestori della Banca Rossija e di grandi network televisivi, sarebbero stati allertati per imminenti altre operazioni costose, rischiose, ma “utili alla Patria”. Come per esempio gli aiuti economici alla Grecia del fenomeno Tsipras. Un alleato, considerato ancora debole ma potenzialmente devastante nell’alimentare la fronda interna alla Ue che si contrappone alle politiche della cancelliera tedesca Angela Merkel. Sono discorsi appena accennati, senza alcuna conferma ufficiale, ma l’idea di usare la Grecia per recuperare da una posizione di forza il rapporto con l’Europa è presa in seria considerazione dal Cremlino. Gli oligarchi tremano ma sono pronti al sacrificio. Come mai? Masha Gessen, autrice russo-americana di una biografia non troppo lusinghiera di Putin, ha una sua spiegazione: “Gli oligarchi non si ribellano semplicemente perché non sono più oligarchi. Sono come un nugolo di ragni tutti sulla stessa tela. Se la tela si restringe, altro non possono fare che cercare di restarvi aggrappati in tutti i modi e al massimo buttare giù quelli di loro che sono più deboli o meno abili”. La teoria della Gessen, pubblicata tempo fa sul New York Times, non fa una grinza. Le epurazioni politiche dei primi vecchi oligarchi nati negli anni Novanta, culminate con l’arresto, la grazia e l’esilio di Mikhail Khodorkovskij, hanno lasciato il segno. La cerchia dei miliardari che circonda Putin è stata lentamente privata di ogni voce in capitolo sul piano politico sotto la minaccia di vedersi sottrarre l’intero patrimonio. “Sono 21 – scrive l’esperto di cose russe Paul Roderick Gregory su Forbes– esattamente come i 21 leader del Partito che obbedivano ciecamente a Stalin. Quelli erano tenuti sotto la minaccia costante di perdere la vita, questi invece di perdere tutto il loro denaro”.
Nicola Lombardozzi, Affari&Finanza 9/2/2105