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 2015  febbraio 12 Giovedì calendario

POPOLARI, QUANTITATIVE EASING E LE BATTAGLIE A FRANCOFORTE IL NUOVO RUOLO DI VIA NAZIONALE

Con il decreto di Palazzo Chigi per la trasformazione delle grandi popolari in spa, di cui regolerà l’attuazione, e con il quantitative easing della Bce, di cui sarà il braccio operativo per i titoli di stato italiani, la Banca d’Italia ritrova una centralità che sembrava aver perduto. Negli anni della politica assente il suo spazio si era allargato, uomini suoi erano entrati al vertice dei ministeri e sino al Quirinale, l’Italia ’malata d’Europa’ faceva perno su via Nazionale. Poi la politica ha cambiato segno, al governo è arrivato un giovane fiorentino che ogni giorno ne riafferma il primato e gli spazi per gli altri, Bankitalia compresa, si sono chiusi. Nel frattempo c’è stato il passaggio a Francoforte anche della vigilanza bancaria dopo la politica monetaria. Privata del ruolo politico che aveva svolto per qualche lustro, ceduti i due poteri chiave e relegata al suo ruolo funzionale, benché importantissimo, Via Nazionale pareva essersi spostata lentamente dal ruolo di policy maker a quello di grande macchina, efficiente e competente, ma non più ’potente’.
LE FUNZIONI
E invece le carte girano e il potere uscito da una porta rientra dall’altra, mentre quel ruolo di gestore di essenziali funzioni rivela che dentro contiene ancora leve potenti. Se cominciamo da queste ci rendiamo subito conto di cosa parliamo. Tra le funzioni dell’istituto centrale ci sono la gestione della tesoreria del Ministero dell’Economia e del sistema dei pagamenti, ma c’è anche l’antiriclaggio (attraverso l’Uif, l’Unità per l’informazione finanziaria) importantissimo visto il peso della criminalità organizzata nel nostro paese, cresciuto con la nuova attenzione di Washington nei confronti dei capitali che vagano tra i paradisi fiscali e diventata delicatissima per il controllo dei denari che si muovono da e verso i paesi soggetti a sanzioni e ancora di più verso i focolai del terrorismo islamico e di altra natura. E poi c’è, senza esaurire un elenco che sarebbe lungo, anche il controllo sull’onorabilità di vertici e azionisti delle imprese finanziarie. Potere delicato, come sa bene Silvio Berlusconi, al quale dopo la condanna definitiva per frode fiscale la Banca d’Italia ha imposto di liberarsi del 20 per cento di Mediolanum, oggi la perla più preziosa dell’impero dell’ex Cavaliere. Anche le funzioni portano poteri, anche se meno vistosi di quelli del passato.
POPOLARI E BAD BANK
Ma la novità è che anche il mutato rapporto con la politica porta i suoi frutti. La trasformazione delle grandi popolari in società per azioni è un vecchio obiettivo della Banca d’Italia, la cui moral suasion non era bastata a smuovere i rocciosi sistemi di interessi che stanno dietro il consevatorismo di quel settore. Via Nazionale non ha i poteri per imporre e la politica debole di ieri se aveva i poteri non aveva la forza né la volontà di usarli. Il governo decisionista ha cambiato il quadro, e la Banca d’Italia evidentemente ha trovato nei consiglieri economici del capo del governo e in Renzi stesso orecchie attente, ottenendo alla fine quella trasformazione che considera essenziale per ridare slancio al sistema creditizio italiano. Ora la patata bollente è la creazione di una bad bank per sollevare i bilanci delle banche dalle troppe sofferenze e ridare vigore al credito. Se ne parla da anni e pare che il nodo stia venendo al pettine: anche in questo caso il rapporto tra via Nazionale e Palazzo Chigi sarà determinante per trovare una soluzione.
DAL POTERE ASSOLUTO AL POTERE CONDIVISO
Il passaggio più importante però ha un nome: Bce. E’ un passaggio sostanziale che cambia nel profondo il ruolo della Banca d’Italia, che da una parte diventa un pezzo di un sistema più grande e dall’altra una sorta di ponte tra Roma e Francoforte, Bruxelles, Basilea, i luoghi dove si decidono le regole su moneta, finanza, banche e credito, che incidendo sulle scelte di imprese e famiglie finiscono per disegnare i modelli economici e le strutture sociali di ciascun paese, dell’Eurozona e dell’intera Unione Europea. Qui l’evoluzione di via Nazionale è tanto profonda quanto silenziosa. La Banca d’Italia è da sempre la scuola numero uno del paese in una materia speciale: il potere. Nella sua accezione particolare di potere istituzionale. Nel Palazzo di Via Nazionale si viene allevati quotidianamente e con cura al culto di questa materia per la quale non ci sono manuali. Quando i settori sui quali principalmente quel potere si esercitava, la politica monetaria prima e ora la vigilanza bancaria, sono emigrati a Francoforte, a Palazzo Koch, dove questa migrazione era stata vissuta con passione protagonista ai tempi di Ciampi e Padoa Schioppa e poi subita con astio ai tempi di Antonio Fazio, non hanno fatto una piega. Hanno semplicemente riorientato il percorso verso una ulteriore specializzazione, quella del potere istituzionale ’condiviso’. Materia nuova e complicata assai, come testimoniano i duelli nel consiglio direttivo della Bce tra il governatore italiano Ignazio Visco e Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank, che mentre si scontrano sul quantitative easing gestiscono insieme - sei mesi comanda l’uno e sei mesi comanda l’altro - il sistema europeo dei pagamenti, la macchina più complessa che c’è. Quella - per intenderci - che garantisce che ogni pagamento arrivi con certezza al suo destinatario. La gestione del potere condiviso è la farina con la quale la Banca d’Italia, insieme agli altri chef dei 19 paesi di Eurolandia, deve cucinare oggi le sue torte. Nella speranza che dal forno venga fuori un prodotto che non sia per noi, che siamo cittadini europei e nello stesso tempo cittadini italiani, troppo indigesto.
LA POLITICA MONETARIA
Cominciamo col capire come funziona questa condivisione. Sulla politica monetaria, che ha già un discreto cammino dietro le spalle, quello che avviene è che quotidianamente sulla tavola di Ignazio Visco e di ciascuno dei governatori dei 19 paesi di Eurolandia, arriva una piccola montagna di carte in questi giorni di rinnovata crisi greca la montagna è altissima - che riguardano la definizione della politica monetaria (abbassare i tassi o no, farlo ora o farlo dopo, aumentare la liquidità del sistema, come farlo: nel 2013 le decisioni sono state oltre 500) e le operazioni conseguenti che vengono fatte non dalla Bce direttamente ma attraverso le banche centrali attrezzate per fare operazioni sui mercati dei titoli o delle valute. Su quelle scrivanie arrivano carte sulla gestione interna della Bce, arrivano e partono documenti, analisi, temi di discussione. La sintesi si compie nelle riunioni del consiglio direttivo a Francoforte, ma la preparazione e la gestione sono collettive e quotidiane. Con discussioni animate e scontri feroci. Nei quali pesa chi ha credibilità scientifica e posizioni forti sostenute da una capacità di analisi riconosciuta e da una struttura solida. Non è un caso che siano la Banca d’Italia e la Bundesbank a gestire il sistema dei pagamenti europeo, o che siano la Banca d’Italia, la Banca di Francia e la Bundesbank a lavorare insieme per il sistema europeo integrato per tutti i titoli. Il peso scientifico, organizzativo e tecnologico si trasferisce nelle decisioni di politica monetaria, e la posizione di Ignazio Visco per esempio ha inciso in misura rilevante sulle riduzioni dei tassi e sul varo del quantitative easing, mentre è stata sconfitta sulla condivisione dei rischi, alla quale Visco e altri erano favorevoli e Weidmann guidava una maggioranza di contrari. Il quantitative easing tuttavia è arrivato ed è probabile che i suoi effetti contro la deflazione e per la ripresa dell’economia siano positivi.
LA VIGILANZA
Sulla vigilanza le cose sono assai confuse, si sta appena cominciando a imparare a lavorare insieme e già è scoppiata la prima contraddizione: quella tra una politica monetaria fortemente espansiva e una politica bancaria invece fortemente restrittiva. A farla esplodere platealmente è stato proprio il quantitative easing, deciso dal Consiglio direttivo della Bce nel momento in cui nel Consiglio di vigilanza (l’organo che elabora le politiche di vigilanza da sottoporre al Consiglio direttivo della Bce che poi le adotta) si discuteva se aumentare ancora i requisiti patrimoniali delle banche. Il punto è che il primo effetto dell’aumento dei requisiti patrimoniali è una diminuzione del credito, ovvero l’esatto contrario di quello che la stessa Bce si propone con il quantitative easing: aumentare il flusso di denaro all’economia per far risalire i prezzi e contrastare la deflazione. Questa partita è esemplare per comprendere quel nuovo ruolo di ponte tra Roma e Francoforte che la Banca d’Italia è chiamata a svolgere. Le regole che sono state varate negli ultimi anni hanno avuto al centro il rafforzamento patrimoniale e operativo delle banche. Giusto obiettivo. Il metodo adottato per raggiungerlo tuttavia rivela qualcosa di più. Oltre ad avere un sistema più solido, i regolatori vogliono costruire anche un sistema diverso. Nel quale la banca abbia un ruolo meno centrale nell’economia e si allarghi invece quello del mercato. Le aziende insomma dovrebbero finanziarsi meno andando agli sportelli e di più con capitale di rischio ed emettendo titoli. Anche questo obiettivo è condivisibile, l’Italia per esempio è un sistema fortemente bancocentrico, con gli istituti che finanziano oltre l’80 per cento delle attività delle imprese, contro il 30 per cento degli Stati Uniti: è troppo. E infatti le nostre imprese sono sottocapitalizzate e troppo indebitate.
IL PONTE TRA ROMA E FRANCOFORTE
Tuttavia anche in questa come in tutte le cose non c’è un modello che sia giusto per tutti. Se troppa banca non fa bene, non è detto che troppa finanza sia sempre la cura giusta. In Italia c’è un grandissimo numero di imprese piccole e piccolissime che non hanno le dimensioni per accedere al mercato dei capitali e delle obbligazioni. Devono crescere e devono aprirsi, lo sappiamo, ma in tempi accettabili e nella misura ottimale per le caratteristiche del nostro sistema. E qui (è uno dei casi) la Banca d’Italia nell’esercizio del potere ’condiviso’ è chiamata ad esercitare il suo nuovo ruolo di ponte. Le sue posizioni a Francoforte (come a Bruxelles e a Basilea) devono contribuire a decisioni condivise che non prescindano dalle caratteristiche e anche dai problemi del modello italiano. Un esempio di come le regole di vigilanza incidono sulla vita di famiglie e aziende è la ’ponderazione degli attivi in base al rischio’. Vuol dire che gli impieghi delle banche non vengono valutati tutti nello stesso modo in relazione a quanto patrimonio bisogna avere a fronte di quegli impieghi. Nella revisione degli attivi fatta dalla Bce la scorsa estate, il credito alle imprese (che è l’impiego prevalente delle banche italiane) è stato considerato assai più rischioso per esempio dell’investimento in derivati finanziari (che è l’impiego prevalente per esempio della Deutsche Bank e di alcune banche francesi). Tecnicalità? Niente affatto. Vuol dire una pressione più forte sulle banche italiane che sulla Deusche Bank, e quindi più difficoltà per le banche italiane nel fare credito alle imprese, quindi meno investimenti, meno crescita, meno occupazione. E una domanda di fondo: siamo sicuri che il nostro modello sarebbe migliore se le banche facessero meno credito alle imprese e si riempissero invece di derivati? In quel caso la Banca d’Italia ha fatto e continua a fare le sue battaglie nelle varie sedi, non ottenendo molto al momento. Ma l’auspicio è che alla fine il ’potere condiviso’ porti a risultati più soddisfacenti anche nelle politiche bancarie oltre che in quelle monetarie. Naturalmente un ponte solo non basta per rappresentare gli interessi dell’Italia in Europa. Ce ne vorrebbe almeno un altro che abbia la solidità e la continuità che la Banca d’Italia è in grado di assicurare. Quel ponte dovrebbe costruirlo il governo con Bruxelles, con il G7, il G20 il Financial Stability Board e tutti gli altri luoghi dove si decide insieme per tutti. Visco ricorda spesso che negli appuntamenti in queste sedi, nei quali la Banca d’Italia è presente insieme al ministro dell’Economia, nei tre anni da quando è governatore ha accompagnato a ogni appuntamento un ministro diverso mentre dall’altra parte (per fare un esempio) accanto al suo amico Weidmann c’era sempre Wolfgang Scheuble. Ora forse le cose almeno a livello di mobilità dei ministri cambieranno. Sarà bene che cambino anche le amministrazioni, la cui qualità e continuità di presenza nella preparazione delle decisioni europee, fino ad oggi non ha brillato affatto.
Marco Panara, Affari&Finanza 9/2/2105