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 2015  febbraio 08 Domenica calendario

«COSÌ PARLERETE CON IL CARO ESTINTO»

In un angolo disperso del Bronx, a New York, c’è un’isola chiamata Hart Island nella quale, a partire dal 1869, sono state sepolte le spoglie di senzatetto, uomini e donne che non potevano permettersi una tomba e bambini. Da qualche tempo è nato un sito multimediale — The Hart Island Project — in cui gli utenti possono aiutare a restituire una biografia e una storia a questi defunti.
«Che cosa rimarrà di me?» è una domanda universale, un assillo che insegue chiunque incappi in una riflessione sul proprio futuro. L’avvento di Internet e dei social network ha reso tutto — in qualche modo — più complicato (perché rischia di rimanere anche ciò che non vorremmo rimanesse) e più facile (perché migliaia di immagini, frasi e testimonianze vanno continuamente a costruire il profilo eterno di ogni utente).
Già nel 2009 Facebook ha cominciato a trattare i profili degli utenti scomparsi come «luoghi in cui le persone possono condividere i loro ricordi» e ha attivato una funzione con cui è possibile segnalare la presenza di account appartenuti a persone scomparse. La nuova policy ha fatto molto discutere, per le evidenti implicazioni etiche, specie nei casi in cui genitori di minorenni scomparsi hanno preteso di chiuderne l’accesso.
È in questo contesto che è nata ormai un anno fa l’idea di Eterni.me, una startup sviluppata all’interno del programma imprenditoriale del Mit di Boston (Mit Entrepreneurship Development Program) con lo scopo — ambizioso — di «aggirare» la morte: al di là dello slogan pretenzioso e non molto scientifico («sconfiggiamo la morte»), il servizio — di cui si occuparono l’anno scorso anche alcuni giornali italiani — si propone come un attento raccoglitore di foto, esperienze e messaggi di una persona, l’utente, a disposizione dei sopravvissuti: parenti, amici, fan...
Ma non si tratta solo di un altarino post mortem, della costruzione di sé che l’utente vuole consegnare ai posteri, Eterni.me sta sviluppando un servizio di data mining (estrapolazione e analisi dei dati personali) che consentirà di fabbricare una identità virtuale, un simulacro del fu utente a portata di click.
«La Lettura» ha raggiunto il Ceo e co-fondatore dell’azienda, Marius Ursache, per affrontare con lui le difficoltà tecniche (poche) e le perplessità etiche (un po’ più numerose) del progetto di un sito che — promette — permetterà di comunicare per via scritta con i propri cari scomparsi: «L’obiettivo è creare un’ eredità interattiva , trovare un modo per non essere dimenticati completamente nel futuro». Quello di cui il software in fase di sviluppo ha bisogno sono i dati, moltissimi dati — testi, messaggi, informazioni su preferenze e abitudini — da aggiornare e analizzare nel corso del tempo (anche «per decenni») per conoscere l’utente. La questione temporale è la chiave della startup, il cui servizio non è ancora disponibile. Secondo il co-fondatore «potrebbe essere pronto tra un paio d’anni, ma per un varo ufficiale bisognerà aspettarne cinque». Ciononostante l’annuncio di Eterni.me ha scosso nei mesi scorsi la comunità scientifica, non per la grandezza del progetto ma per un inquietante presentimento: l’obiettivo è ambizioso ma possibile, serve solo tempo.
L’idea di base — spiega Ursache — «è una combinazione di idee vecchie e influenze: tra le molte, la teoria sulla singolarità di Ray Kurzweil, le opere di Isaac Asimov e Philip K. Dick, film come The Final Cut o serie come Black Mirror . Tempo fa avevo avuto quest’idea di un sito in cui la navigazione era affidata a un programma in grado di spiegarti cosa potevi trovare all’interno delle pagine. Non l’ho mai realizzata ma credo che quel processo mentale abbia influenzato il concetto di Eterni.me».
Come funziona questo servizio? «Una volta iscritto a Eterni.me ti viene chiesto da quale grande serbatoio cominciare a processare informazioni (Facebook, Twitter, email, foto…). I dati sono poi raccolti, filtrati e analizzati fino a dar loro “un senso”». La ricerca di senso è necessaria per la comunicazione con un avatar intelligente (un chatbot, un programmino in grado di comunicare imitando gli esseri umani) che emuli la persona scomparsa.
Una parte del progetto — la tecnologia dei chatbot, per esempio — è già fattibile sul piano tecnico, ma ci sono aspetti ancora controversi: lo scopo non è comunicare con qualcuno, ma comunicare con i cari estinti, come se fossero vivi, come se qualcuno, o qualcosa, li emulasse. Il concetto di emulazione , per comunicare con l’assenza, riassume incubi e sogni della società delle Reti: l’emulazione del cervello umano è un argomento che da tempo ossessiona scienza e fantascienza. «Ma a oggi siamo ancora a uno stadio primitivo», ammette Ursache.
Per fare il punto su questo aspetto cruciale, vengono in soccorso Anders Sandberg e Nick Bostrom, due tra i principali futurologi del nostro tempo, entrambi impegnati nel Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford, un laboratorio dove si immagina il futuro dell’umanità. Nel 2008 hanno scritto un saggio (Whole Brain Emulation. A Roadmap ) sull’emulazione dei cervelli umani, ovvero la ricreazione delle capacità intellettive personali artificialmente. Il percorso prevede tre elementi: l’abilità di scansire fisicamente il cervello per acquisire informazioni; la capacità di interpretare i dati; la capacità di simulare un modello di «macchina» così grande e complicato. Siamo in grado di farlo? «Non ancora — risponde Ursache —, ma siamo molto vicini all’obiettivo. Interagire periodicamente con questo avatar consentirà all’algoritmo di funzionare molto meglio tra 30 o 40 anni».
Malgrado l’aura fantascientifica, infatti, l’emulazione di un cervello umano è considerata dalla comunità scientifica pressoché inevitabile — secondo Sandberg e Bostrom sarà «praticabile nel prossimo futuro» — e in questo torna la questione del tempo, dell’attesa, nella storia di Eterni.me. Anche se vedrà la luce solo tra qualche anno e avrà bisogno di altro tempo per funzionare a regime, la società sembra voler prepararci a un rovesciamento culturale e sociale senza precedenti: una vittoria — parziale e solo virtuale — sulla morte.
Ma attenzione: Ursache precisa che il suo «non è un social network per i morti, come la stampa lo ha soprannominato, quanto uno strumento per curare la nostra eredità digitale, che è qualcosa di utile da molti punti di vista, nel micro (onorando le persone a noi care) e nel macro (conservare conoscenza e informazioni riguardo tutta l’umanità), non solo artisti, scienziati o politici di fama». E, aggiunge il fondatore, tocca proprio alla sua società farlo, perché attendersi qualcosa del genere dai colossi del settore sarebbe vano: «Facebook è solo un grandissimo servizio pubblicitario che ci permette di metterci in contatto con gli altri gratuitamente, quello che Google fa in cambio dei suoi servizi gratuiti».
L’obiettivo, continua il co-fondatore, è «di preservare per sempre i nostri pensieri, ricordi e storie più importanti per onorare i nostri cari e proteggere una conoscenza utile a tutta l’umanità», arricchendo di nuove sfumature il concetto di famiglia, eredità ed elaborazione del lutto.
I contraccolpi sociali e psicologici — considerando anche che il chatbot consentirà di animare il pensiero del defunto — possono essere epocali: «Tra un centinaio d’anni potremmo stringere rapporti con antenati che hanno vissuto prima della nostra nascita», ha spiegato la psicologa Susan Bluch al «New Yorker», confermando che il progetto, per quanto folle, è ben ancorato a una realtà difficile ma possibile. Che sia Eterni.me o un’altra azienda a metterci il cappello, forse, è solo un dettaglio.