Guido Santevecchi, Corriere della Sera 8/2/2015, 8 febbraio 2015
LA PUBBLICITÀ CLASSISTA CHE FA LITIGARE I CINESI
WeChat, sistema che permette di scambiarsi messaggi istantanei anche vocali e foto sul telefonino, è diventato la voce dei cinesi con oltre 470 milioni di utenti. E ora il gruppo Tencent, che ha lanciato WeChat nel 2011, ha deciso di passare all’incasso: con la pubblicità. E siccome non tutti i consumatori sono uguali, gli utenti sono stati divisi in tre categorie in base al potere d’acquisto stimato e al luogo dove vivono, megalopoli o zone agricole.
La prima classe ha ricevuto una pubblicità della Bmw (l’auto del giovane arricchito e rampante in Cina); un secondo sottogruppo si è visto arrivare il promo di un telefonino marca Vivo (poco conosciuto); il terzo strato ha ricevuto un avviso della Coca-Cola. Così l’iniziativa di WeChat si è trasformata in uno status symbol e in uno psicodramma nazionale nella Repubblica popolare cinese. I prescelti per la Bmw si sono affrettati a rilanciare lo spot per far vedere a tutti che loro si possono permettere l’auto potente. Quelli che si sono visti lampeggiare sul telefonino l’avviso di Vivo o della lattina di Coca sono caduti in depressione. Gli amici li hanno subito catalogati come «diaosi», che si può tradurre dal mandarino in «perdenti» o «sfigati». L’iniziativa di pubblicità mirata è stata comunque un successo: la Bmw, che ha investito 800 mila dollari nella campagna, ha ricevuto risposte da sette milioni di utenti e il suo account su WeChat ha conquistato 200 mila nuovi followers in una settimana. La vendetta invidiosa dei «diaosi» si è scatenata nei messaggini, identificando la «prima classe» come «tuhao», il termine dispregiativo che identifica da un paio d’anni i nuovi ricchi cafoni (ce ne sono milioni in Cina).
La diatriba si è diffusa a tal punto che ieri è finita sul Global Times , quotidiano del partito comunista. Il giornale riporta i fatti, senza commento. Con buona pace degli ordini del partito per il recupero dei valori marxisti-leninisti.