Vittorio Sgarbi, Corriere della Sera 8/2/2015, 8 febbraio 2015
SGARBI: COSÌ L’ITALIA SI È LASCIATA SCAPPARE UN CAPOLAVORO
Come si vede nel rilievo che hanno nei musei, al Louvre, per esempio, non credo che le opere di Annibale Carracci abbiano, per la storia dell’arte, minor valore di quelle di Paul Gauguin.
Ma non per questo sarebbe stato molto difficile ottenere in prestito un notevole dipinto di Annibale Carracci, rappresentante la «Vergine in preghiera» (olio su tela 62.3 x 41.6 cm.), per la mostra «Da Cimabue a Morandi» che sarà inaugurata dal ministro Franceschini nei prossimi giorni in palazzo Fava a Bologna.
L’opera è essenziale non solo perché è inedita, ma anche perché appartiene, nella sua originaria freschezza formale, agli anni giovanili di Annibale, verso il 1584-85, quando, con il fratello Ludovico, lavorava proprio ai fondamentali affreschi di palazzo Fava.
La «Vergine» passò il 15 ottobre del 2013 in un’Asta Dorotheum a Vienna, e fu aggiudicata per 389.300 euro. Ma, pochi giorni fa, il 28 gennaio, con un clamoroso ma non inatteso esito, è stata rivenduta a New York in un’asta Christie’s per 965.000 dollari. Sempre più cara, sempre più lontana.
In realtà era stata vicinissima, perché fino all’estate del 2013 era a Bologna, in una collezione privata, dove fu riconosciuta e periziata come opera di Annibale dall’esperto di Carracci, Daniele Benati, professore nella locale Università e consulente di vari antiquari bolognesi.
La scheda della vendita all’asta sottolinea i rapporti del dipinto con la pittura veneta, in particolare con Tiziano, e lo definisce «a major addition to the corpus of one of the supreme masters of the Italian Baroque» (una importante aggiunta al corpus di uno dei supremi maestri del barocco italiano ndr ). Tanto per chiarire. Inoltre conferma che l’attribuzione si deve a Daniele Benati, che vide il dipinto in Italia, come molti altri. Nel promuoverlo, si indica anche che «the painting is in a beautiful state of preservation» (il dipinto è in buono stato di conservazione ndr ), e che a metà del XIX secolo era conservato in Palazzo Gnudi Scagliarini in via Riva Reno a Bologna.
Davanti a questa spudorata vendita in America di un capolavoro che stava in Italia, a Benati e ad altri esperti e tutori del patrimonio artistico, come Carlo Ginzburg, Tomaso Montanari e Anna Ottani Cavina, tanto preoccupati per lo spostamento di 300 metri di un dipinto di Raffaello, dalla Pinacoteca al più nobile palazzo Fava, chiedo: perché non si sono agitati e non hanno protestato per questa scandalosa esportazione abusiva? Di cui, se non perché omertosi o distratti, non potevano non essere informati.
Perché, non hanno promosso raccolte di firme o presentato un esposto (con Italia nostra o Bologna loro) al ministro Franceschini e al nucleo tutela del patrimonio artistico dei Carabinieri, per recuperare l’opera, sottratta al patrimonio artistico italiano?
E Dio non voglia che, nonostante la perizia di Benati, il Carracci sia stato esportato regolarmente per l’ignoranza di un funzionario. In questo caso il silenzio delle anime belle sarebbe ancora più grave e, aldilà del reato, sfiorerebbe la complicità.
Una intollerabile trahison des clercs , (tradimento degli intellettuali ndr) o un’improvvisa amnesia?