Domenico Cacopardo, ItaliaOggi 10/2/2015, 10 febbraio 2015
PARMA, UNA CITTÀ CHE SI SPEGNE
Fa tenerezza Federico Pizzarotti, sindaco a 5 Stelle di Parma, «l’asino in mezzo ai suoni», ogni volta che accade qualcosa, si tratti dell’alluvione del 13 ottobre con il comunicato della Protezione civile rimasto sui tavoli del comune, si tratti della nevicata dei giorni scorsi, alla quale non c’è stata preventiva reazione, talché le scuole non sono state tempestivamente chiuse per la ragione esposta dal medesimo Pizzarotti di non voler turbare l’andamento familiare con bambini lasciati imprevedibilmente in casa, o quando viene interrogato dall’«anchor-woman» preferita, Lilli Gruber e, di fronte a una domanda sgradita o a cui non sa cosa rispondere, dichiara che l’audio se n’è andato o che, comunque non sente.
O quando diserta la manifestazione indetta dai francesi di Parma, per solidarietà a Parigi e alla tragica storia di «Charlie Ebdo» e del supermarket ebraico, disertando così dalla storia della sua città legata alla Francia da antichi indissolubili legami culturali e anche economici, vista la presenza transalpina nella Cassa di risparmio e nella Parmalat. Una sciocchezza accantonata con un’alzata di spalle, molto peggio di una dichiarazione di scuse, tenuto conto che, a differenza di quanto operato in vari capoluoghi emiliani, il sito del comune, debitamente informato dell’evento, non ne ha dato notizia.
Pizzarotti aveva iniziato ricevendo il console canadese nel suo prestigioso ufficio medievale, in jeans e camicia, il giovanotto, estratto da Beppe Grillo da un centro elaborazione dati cittadino. Una solenne cafonata che colpiva non la sua persona, ma un’intera città, nobile, non di nobili lombi, ma di storia patria e internazionale. Insomma, fa tenerezza e pena, questo giovanotto senza «back-ground» culturalpolitico, arrivato a dirigere il comune di Parma per il fallimento del candidato Pd, Vincenzo Bernazzoli, un consunto arnese della politica al quale, onestamente, non poteva essere imputato null’altro che un’anonimità burocratica. Bernazzoli arrivò al ballottaggio con il 39% e Pizzarotti con il 19%. Vince però il grillino per il voto massiccio della Parma borghese e piccolo borghese, quella che prima aveva decretato il successo di un grande sindaco moderato, Elvio Ubaldi, e di un pasticcione autolesionista, Pietro Vignali, schierato più a destra del predecessore. E che, il lunedì dei risultati, esultava nei bar e nei circoli per avere sbarrato il passo al «rivoluzionario» excomunista.
Ora, il malcontento è generale. E questo è normale in una situazione come quella italiana, salvo la specialità di Pizzarotti di avere eluso due specifiche indicazioni programmatiche: l’inceneritore è (fortunatamente) in funzione; il rapporto diretto con i cittadini non s’è realizzato. Troppo difficile e faticoso, pretende una capacità politica che, nella maggioranza grillina non si intravvede. Basti pensare che, di fronte alla crisi dell’assistenza scolastica ai portatori di «handicap» di cui ha parlato la stampa nazionale, il comune se n’è uscito chiedendo la collaborazione di genitori «purché non organizzati», scelti dai presidi delle scuole. Una vocazione burocratica che smentisce e delegittima l’ampio tessuto delle organizzazioni sociali, cristiane e laiche, che arricchiscono (dall’800) la tradizione emiliana.
Il fallimento vero, però è rappresentato dall’assoluta mancanza di idee. Certo, ogni botte dà il vino che serba in seno e quella di Pizzarotti e dei suoi serba, se serba qualcosa, un vinello a bassa gradazione. Non c’è mai stata né c’è visione sul ruolo di Parma e sul suo futuro né idee, neanche spot. Non ci sono né si possono inventare. Così degrada l’aeroporto, la Banca del Monte, prossima alla totale incorporazione in Banca Intesa (il rapace Moloc che l’ha assorbita), non si organizza una mostra degna di questo nome dal Correggio in poi, non viene terminata la Scuola europea (condizione posta dall’Unione per la dislocazione a Parma dell’Efsa, Authority comunitaria dell’alimentazione), non si sa cosa fare del faraonico ponte costruito a servizio, appunto dell’Efsa (che, si dice in giro, se ne voglia andare), e, infine, la questione più grave di tutte, la crisi irreversibile del teatro Regio.
Proprio il teatro Regio è la prova finale di un fallimento. È passato dalla direzione d’emergenza di un uomo esperto come Carlo Fontana a un inedito ticket composto da Barbara Minghetti, «manager» del Teatro sociale di Como (che continuerà a seguire) e da Anna Maria Meo, residente a Firenze, laureata in lettere (storia della musica) all’università di Siena, fondatrice e amministratrice di «Dincanto», società che organizza viaggi culturali. Un’attività, questa, che non deve averle dato particolari soddisfazioni, visto che la lascia per il modestamente (per il settore) retribuito incarico di direttore generale del Regio. Il resto del profilo della Meo, reperibile in rete, è così povero da non contenere la descrizione di una, solo una manifestazione specifica di cui lei sia stata l’ideatrice e l’organizzatrice.
Due carneadi nel cuore della lirica italiana, Parma, dalla tradizione immensa, da Verdi a Toscanini.
Sostiene la Meo, all’atto della nomina: «Lavoreremo _ per rafforzare l’identità del teatro con un ulteriore avvicinamento del territorio», mentre la collega consulente Minghetti ha prospettato la sua idea: «_ costruire una stagione impostata in maniera diversa con progetti per giovani che coinvolgano le nuove generazioni, con co-produzioni che possano trovare partner e attirare sponsor». Se le parole hanno un senso (del che con Pizzarotti&C è lecito dubitare), una sorta di teatro sperimentale di giovani, con partner estranei al territorio richiamato dalla Meo, e ignoti «sponsor».
Certo, la città non meritava questo duo, come non meritava un assessore alla cultura come Maria Laura Ferraris, assurta all’incarico con un «curriculum» inconsistente e un lavoro imprecisato, visto che non appena le fu proposta la nuova attività (di assessore poco retribuito) si trasferì immediatamente a Parma da Torino. Del resto, se c’è una notazione che caratterizza quest’inizio d’anno in Emilia è la certificazione della fine del ruolo di riferimento economico, sociale, politico, culturale e, perché no, di tendenza che per tanto tempo, da Maria Luigia in poi, è stato esercitato da Parma, città ducale e, di fatto, capoluogo del Nord-Ovest padano. Una fine certificata anche nel discorso di insediamento del nuovo presidente regionale, Stefano Bonaccini, un bersaniano di ferro trasferitosi (provvisoriamente?) nel campo renziano. Bonaccini ha infatti immaginato una regione decentrata e articolata in tre aree, la Romagna, il bolognese, l’Emilia, quest’ultima con baricentro a Reggio, il capoluogo ormai assurto a una primazia sconosciuta prima.
Si tratta della conclusione di un lungo viaggio guidato dal Cremlino regionale, egemonizzato dall’asse Bologna-Modena, le cui tappe, a scapito di Parma, sono ormai iscritte nelle cronache degli ultimi quarant’anni.
Lo svuotamento dell’Università, il «down-grading» della stessa a favore dell’asse felsineo, l’abolizione del Magistrato per il Po, l’abbandono del Centro modelli di idraulica fluviale del Magistrato stesso e della facoltà di ingegneria, la stazione dell’alta velocità Medio-padana a Reggio e non a Parma, luogo epicentrico tra Milano e Bologna, l’assetto regionale del sistema aeroportuale col sacrificio delle attese di sviluppo dello scalo intitolato a Giuseppe Verdi, e tutte le scelte del «day by day» sono state improntate al consolidamento dell’ortodossa Reggio, luogo elettivo del mondo comunista puro e duro, patria del nucleo fondante della Brigate Rosse, di Romano Prodi e della sua ben radicata famiglia, infine di Graziano Del Rio, ora nel cruciale ruolo di sottosegretario alla presidenza e segretario del consiglio dei ministri.
A scapito della reproba Parma, capace di scegliere sindaci e amministrazioni non omologabili a Bologna sin dagli anni ’80.
Ha vinto un provincialismo da piccolo paese di remota periferia, di cui è testimonianza indiscussa Federico Pizzarotti, ’primo estratto’ alla lotteria elettorale del 2012. In attesa della nuova lotteria.
Domenico Cacopardo, ItaliaOggi 10/2/2015