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 2015  febbraio 10 Martedì calendario

QUANDO I BANCHIERI RUSSI DIBATTONO SULLA CRISI

A Mosca ha nevicato tutta la notte tra venerdì e sabato. In un prestigioso ristorante del centro, di buon’ora, si riunisce a porte chiuse il gotha bancario russo per parlare di svalutazione del rublo e politica monetaria. Si vuole capire se e come l’economia possa crescere con un tasso di sconto fissato dalla banca centrale al 15%, e quindi con un costo del credito per le pmi ben sopra il 20%, e quali misure possano essere adottate per arginare l’inflazione, anch’essa a doppia cifra, dopo che il rublo ha registrato una svalutazione troppo rapida.
Un analista ricorda che la banca centrale russa non può operare un Qe come la Fed o la Bce, perché la moneta russa non è convertibile e quindi non riveste alcuna funzione di riserva nel contesto internazionale. L’economista accademico delle scienze sottolinea che l’inflazione in Russia non è mai scesa sotto il 5% negli ultimi tre lustri, neppure negli anni di vacche grasse. Colpa delle tasse occulte rappresentate dalle tariffe delle utility.
Un banchiere sottolinea quanto il contesto sia diverso oggi rispetto al default russo di Boris Eltsin del 1998: allora il potere di acquisto della famiglie si ridusse del 46%, oggi non sarebbe pensabile perché il ceto medio russo non accetterebbe mai tale salasso. Poi c’è l’economista che prospetta uno scenario iraniano, che prevede sanzioni prolungate nel tempo e difficoltà nel capire esattamente cosa potrebbe significare. E c’è chi invoca, in puro stile dirigista sovietico, l’introduzione di misure che obblighino alla conversione almeno del 50% degli introiti in valuta di banche e imprese.
I banchieri moscoviti non si sono ancora ripresi dallo shock degli ultimi due mesi. Sul banco degli imputati c’è soprattutto la troppo rapida svalutazione del rublo, che doveva invece essere più graduale. Invece la banca centrale si è fatta cogliere impreparata e tre operatori vendendo massicciamente rubli sul mercato per comprare dollari ne hanno accelerato il deprezzamento. I tre incriminati sono Vtb, Rosneft e Otkritie. Difficile avere controprove ma è certo che nella crisi russa anche i prestiti miliardari in rubli dati dallo Stato alle controllate bancarie e petrolifere sono stati convertiti in divise estere per bilanciare le passività in valuta. Capita nelle situazioni di caos che impensabili acceleratori ribassisti si mettano in moto.
Oggi, comunque, la difesa del rublo non è più una priorità. Per rilanciare il pil occorre stimolare gli investimenti. Quindi servono tassi più bassi. Un Quantitative easing alla russa che permetta al costo del denaro di scendere in misura importante senza avere effetti sull’inflazione. Guadagnare in produttività, prima di tutto. Gazprom ha aperto le danze annunciando il licenziamento di 35 mila dipendenti. Altri colossi seguiranno, mentre le tariffe, aumentate sempre molto più dell’inflazione negli ultimi anni, dovranno invertire la tendenza. «L’Unione Sovietica non esiste più come molti di noi ancora pensano», conclude il presidente del tavolo di discussione, «viviamo in un’epoca nuova dove tutto passa per le decisioni del mercato. La Russia deve adattarsi a tale contesto, non abbiamo altre opzioni percorribili». Il mercato, quello che i comunisti cinesi sono riusciti a far crescere dal basso e che hanno saputo rinforzare con decine di milioni di piccole e medie imprese. Proprio le pmi sono le veri grandi assenti dell’economia russa: meno di due milioni, la metà di quelle italiane. E senza una lungimirante politica congiunturale del governo rischiano di essere falcidiate dal costo del denaro al 25 o al 30%. È tempo di riforme anche a Mosca.
Edoardo Narduzzi, MilanoFinanza 10/2/2015