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 2015  febbraio 10 Martedì calendario

GLI STABILIZZATORI NON FINISCONO MAI

L’ultima crea­tura par­la­men­tare per ora non è una scis­sione né un gruppo ma una log­gia di iscritti all’orecchio, una forza for­zi­sta invi­si­bile ma pronta ad entrare in azione in caso di neces­sità, ovvero rischio di caduta della legi­sla­tura. Sono, l’ha spie­gato ieri il sena­tore Paolo Nac­ca­rato a Repub­blica, «gli stabilizzatori-Orizzonte 2018», cugini dei «respon­sa­bili» che nel 2013 hanno, allo stesso fine, dato vita all’Ndc di Alfano. Ma di pro­ge­ni­tori ne hanno avuto di ogni genere e quasi in ogni legi­sla­tura. Nac­ca­rato ha un solido know how da reg­gi­tore di governi in bilico. Era con Cos­siga nelle file dell’Udr, par­tito creato dal pic­co­na­tore nel ’98 per sor­reg­gere il governo D’Alema. Dieci anni dopo in qua­lità di sot­to­se­gre­ta­rio ha sor­retto fino a pre­ma­tura morte anche il governo Prodi. Che il sena­tore sia uno spi­ri­toso cul­tore della mate­ria lo si vede dal nome scelto per la sua pat­tu­glia. Lo «sta­bi­liz­za­tore» è, secondo la Trec­cani, in una nave «ogni mezzo atto a ridurre le oscil­la­zioni, spe­cial­mente per effetto del moto ondoso del mare» e può essere pas­sivo, fre­nante oppure attivo pro­du­cente forze che con­tra­stano lo sban­da­mento. In un aereoè una parte fissa attac­cata a fine fuso­liera, alla coda insomma.

Gli «sta­bi­liz­za­tori» della 17esima legi­sla­tura, ove mai dav­vero doves­sero entrare in azione, ovvero se Forza Ita­lia dovesse sul serio pro­vare a met­tere in dif­fi­coltà il governo Renzi — ma dav­vero, non a pro­clami — non fareb­bero che pro­fes­sare che «il fine della legi­sla­tura è arri­vare alla fine della legi­sla­tura», come spiega un depu­tato dem di lungo corso. Una pro­fes­sione antica che nell’ultimo par­la­mento è più pra­ti­cata di quel che appare. Per­ché , spiega Nac­ca­rato, «prima viene il paese». Poi, ma il corol­la­rio è nostro, seguirà come l’intendenza il vita­li­zio che per effetto di una legge varata dal cen­tro­si­ni­stra segue ormai solo avendo por­tato a ter­mine una legi­sla­tura com­pleta. «Sui costi della poli­tica biso­gna fare pen­sieri lun­ghi. Que­sta legge, imma­gi­nata per rispar­miare, quanto ci costa? Ora le legi­sla­ture non fini­scono in anti­cipo, e noi ci teniamo Ber­lu­sconi», spiegò nel set­tem­bre 2011 il sag­gio Franco Marini in un semi­na­rio di gio­vani dem che recla­ma­vano il taglio dei costi della poli­tica. Cam­biando il nome del pre­mier, per ragioni non troppo dis­si­mili, il governo Renzi oggi è a prova di onde, venti, bec­cheggi e sbandamenti.

Gli sta­bi­liz­za­tori sono indi­spen­sa­bili a que­sta legi­sla­tura nata a forza di sta­bi­liz­za­zioni. Quando il 26 feb­braio 2013 Ber­sani annun­ciò la «non vit­to­ria» il suo brac­cio destro e quello sini­stro, Enrico Letta e Ste­fano Fas­sina, fecero bale­nare di fronte alle tele­ca­mere la pos­si­bi­lità di tor­nare al voto. Un gelo da Perito Moreno fece riman­giare la pro­po­sta a entrambi.

Poi fu la volta dei «101» e più sta­bi­liz­za­tori del Pd che non vota­rono Prodi per­ché sospet­tato di pro­pen­sione allo scio­gli­mento delle camere. Sta­bi­liz­za­tore per eccel­lenza è stato poi il pre­si­dente Napo­li­tano. Che, eletto al secondo man­dato, indicò al par­la­mento la strada delle intese «per far vivere un governo, non tra­scu­rando, su un altro piano, la esi­genza di intese più ampie, e cioè tra mag­gio­ranza e oppo­si­zione, per dare solu­zioni con­di­vise a pro­blemi di comune respon­sa­bi­lità isti­tu­zio­nale». Nac­que il governo Letta con la mis­sion delle riforme in un arco di vita dichia­rato di 18 mesi, ragio­ne­vole date le con­di­zioni di par­tenza. Nell’autunno 2013 la deca­denza di Ber­lu­sconi pro­vocò l’uscita del Pdl dalla mag­gio­ranza, le riforme sva­po­ra­rono e la legi­sla­tura bec­cheg­giò poi andò in stallo. Poi in pic­chiata da quando, a dicem­bre, Renzi vinse le pri­ma­rie del Pd. E comin­ciò a bom­bar­dare il ’suo’ governo che già da sé non volava. Fino al famoso cam­bio di pre­mier che — di nuovo — sta­bi­lizzò la legi­sla­tura. Su quell’episodio è tor­nato qual­che giorno fa Renzi a Porta a Porta con tono sprez­zante: «Io avevo detto a Letta ’si va avanti fino al 2018’. Poi hanno bloc­cato l’azione di governo per­ché pun­ta­vano ad arri­vare al voto nel 2015», «non è stato in alcun modo un tra­di­mento di un patto, se Letta fosse stato sereno sarebbe rima­sto lui il pre­si­dente del Con­si­glio». Su quella vicenda, che poi è l’atto di nascita del Pd ren­ziano, da sem­pre Letta man­tiene un silen­zio paziente (ma qual­che giorno fa in Tran­sa­tlan­tico ha lasciato sci­vo­lare un «non è detto che resterò zitto, non per tanto tempo ancora»). In pochi hanno voglia di tor­nare. Renzi strinse il famoso patto del Naza­reno, nuovo car­bu­rante per la legi­sla­tura. «Il cam­bio di pre­mier era impli­cito in un con­gresso che aveva eletto un segre­ta­rio ma anche un can­di­dato pre­mier», spiega Fas­sina, all’epoca vice­mi­ni­stro, aste­nuto nella dire­zione nel 13 feb­braio 2014 che sfi­du­ciò Letta (dove solo i civa­tiani ’nemici’ di Letta vota­rono con­tro). «Ed è vero che il governo sten­tava a pro­durre risul­tati sul piano eco­no­mico, ma è vero anche che Renzi sapeva che andare avanti con Letta avrebbe l’avrebbe por­tato a logo­rare i suoi con­sensi. I non ren­ziani ne pre­sero atto». E tutti, o quasi, si tra­sfor­ma­rono in «sta­bi­liz­za­tori». Democratici.