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 2015  febbraio 08 Domenica calendario

VIZI E VIRTÙ DELLE DIECI «BIG» IN CAMMINO VERSO LA SPA

Ecco dov’è l’urgenza del decreto sulle Popolari. È nel fatto che nonostante le sollecitazioni della Banca d’Italia, del Fondo monetario internazionale, della Commissione Ue – come ricordato ieri al congresso Assiom-Forex dal Governatore Ignazio Visco – finora la riforma era sempre rimasta nel cassetto. Con la differenza che ora l’esigenza di un cambiamento è diventata più «pressante» per il passaggio al sistema di vigilanza unica. Otto delle dieci Popolari - tutte tranne Etruria e Bari - che dovranno trasformarsi in Spa, già da novembre, sono sotto la vigilanza della Bce, cui, probabilmente, la governance popolare piace ancora meno . Ma è lo stesso Visco a stressare il concetto, quando dice che sono «essenziali assetti adeguati di governo societario, in grado di accrescere solidità patrimoniale e capacità competitiva».
L’aggravante è che sette delle dieci riformande (fuori listino la Popolare di Vicenza, Veneto banca e la Popolare di Bari) – sono pure quotate, hanno cioè già aperto il capitale agli investitori istituzionali che finora, col voto capitario, non avevano altra scelta che “votare coi piedi”, vendendo. Non è un caso che prima del blitz governativo, sul mercato di Piazza Affari per la categoria era saldi tutto l’anno, con sconti superiori al 40% rispetto agli altri titoli bancari.
Ora, comunque, la via del cambio di governance sembra ormai segnata. Vediamo invece – con l’ausilio dei dati raccolti da R&S-Mediobanca – con che numeri i dieci istituti si sono presentati all’appuntamento con l’Unione bancaria. La Spa, lo ha sottolineato anche Visco, è un assetto societario che «accresce la capacità di ricorso al mercato dei capitali». Che la formula precedente rendesse il processo più vischioso lo dimostra anche la lentezza con la quale la top ten delle Popolari ha adeguato i ratio patrimoniali. Nessuna di quelle al vaglio di Francoforte, tranne Ubi, ai dati di fine 2013 ha passato il doppio test della Bce (stress test più asset quality review). Tutte e sette sono state infatti rimandate a settembre, e due hanno sforato ancora sui tempi (Bpm, almeno, cautelandosi con una dote di 713 milioni di capitale eccedente, la Vicenza con un cuscinetto finale limitato a 30 milioni).
A fine 2013 delle dieci, otto mostravano un total capital ratio sotto la media dell’insieme delle Popolari (13,3% per le 34 ricomprese nel data-base di R&S-Mediobanca), una - il Banco Popolare - esattamente in linea, mentre solo Ubi poteva vantare un parametro nettamente superiore alla media dell’intero sistema creditizio (18,9% contro il 14% delle oltre 500 banche italiane censite da R&S-Mediobanca).
A partire dal 2014, considerato anche il buffer di conservazione del capitale, il requisito minimo per il total capital ratio è salito dall’8% al 10,5%. Buona parte si è messa in regola, o è andata oltre, le due venete – Popolare di Vicenza e Veneto Banca – alla fine del primo semestre erano entrambe un po’ sotto al minimo, col 10,2%.
Su sofferenze e redditività la situazione è variegata, ma in generale - come si evince dalla tabella - il miglioramento è generalizzato passando dai dati 2013 ai risultati, ancora parziali, del 2014. Merita una segnalazione il Roe della Bpm che dall’1,7% è balzato in testa col 6,7% a settembre, scavalcando la Popolare di Sondrio al 5,4% che, dalla sua, ha ancora il più basso cost/income (44,6%) e il miglior rapporto crediti dubbi/impieghi alla clientela (8,3%).
Fa storia a sé invece la Popolare dell’Etruria che non solo è scesa sotto i minimi sui parametri di vigilanza (con il total capital ratio scivolato dal 9,6% di fine 2013 all’8,3% di fine settembre), ma è peggiorata su tutti i fronti. Con i crediti dubbi o deteriorati netti rispetto al totale dei crediti verso la clientela saliti dal già abnorme 22,9% al 26,8%: per oltre un credito su quattro non ci sono certezze sul rientro. Crediti dubbi che sono arrivati a oltre il triplo del patrimonio netto, a sua volta decurtato dalle perdite perché i conti sono in rosso. Il margine di intermediazione è stato di 90 milioni inferiore rispetto ai ricavi dei primi nove mesi del 2013, calando 223 milioni, e questo in presenza di costo del personale, spese amministrative e ammortamenti in leggero aumento (+6 milioni). Con la conseguenza che, escludendo gli utili da cessione di titoli o crediti che R&S considera poste straordinarie, il cost/income è balzato dal 69,3% di fine 2013 al 110,8% di fine settembre: vale a dire che i costi operativi della banca sono superiori ai suoi ricavi.
Non c’è da stupirsi che l’Etruria abbia deciso di alzare bandiera bianca e di cercare, come comunicato a gennaio, «l’integrazione con un gruppo di rilevante standing» che «potrebbe consentire il prospettico ripristino degli equilibri patrimoniali». Un matrimonio d’interessi, insomma, con qualcuno dalle spalle più larghe, che per il momento però non si è riusciti ancora a combinare.
Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 8/2/2015