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 2015  febbraio 07 Sabato calendario

L’ALLENATRICE DI MURRAY: «DOPO MELBOURNE TACE ANCHE QUALCHE PETTEGOLO»

DALLA NOSTRA INVIATA GENOVA «Non esistono differenze tra coach uomini e coach donne. Esistono bravi coach e pessimi coach». La mascella (volitiva) di Amelie Mauresmo, 35 anni, si serra dandole un’aria improvvisamente severa. È volata a Genova da Melbourne, dove ha scortato Andy Murray nella finale dell’Australian Open, e dopo sette mesi di polemiche (lo scozzese la assunse nel luglio 2014, quando Ivan Lendl si dimise), rientrata nell’alveo naturale di capitana del gineceo che ha riportato nel gruppo mondiale di Fed Cup, vorrebbe solo parlare di Italia e Francia, femmine umorali, paturnie da gestire, al limite trofie al pesto.
È invece la sua scelta pionieristica, controcorrente e secondo molti contro natura, la-donna-che-allena-l’uomo (non un carneade: un top-10), l’argomento di conversazione più interessante alla vigilia di questa sfida ospitata sulla terra per mettere la nostra leader Saretta Errani a suo agio (meno la Giorgi) e le bombardiere francesi in difficoltà.
Amelie e il suo meraviglioso mondo al contrario: lei portatrice sana di sublime rovescio a una mano (due Slam in carriera, ritiro a soli 30 anni), capace di coming out quando non era per niente di moda (2006), dotata di spalle larghe per reggere le chiacchiere oggi che fa allenare Murray con il cardiofrequenzimetro, lo bacchetta per un biscotto di troppo o gli vieta il giorno di riposo. Quale apertura di credito fu concessa a Lendl prima che Andy conquistasse Wimbledon? «Non credo di pagare le mie scelte nel privato né che il tennis professionistico non fosse pronto per un coach femmina — spiega —, ma di certo c’è stata prevenzione nei miei confronti. Dire che non sono adatta prima di vedermi all’opera è stato ingiusto. Lavoro con Andy come lavorerebbe un uomo: per fargli esprimere tutto il suo potenziale. Forse la finale a Melbourne ha messo a tacere qualche pettegolo».
Forse. Un ex campione Slam, sotto anonimato, ha definito la decisione di Murray «folle e irresponsabile». Adriano Panatta ha le idee chiare: «Andy mi piace, però con la Mauresmo… Amelie è simpatica ma il tennis maschile è uno sport troppo diverso da quello femminile». Nicola Pietrangeli, a Genova per tifare le azzurre, se la cava con una battuta: «Se mi sarei fatto allenare da una donna? Se molto, molto carina». Solo Boris Becker, coach del n.1 Djokovic, ha speso parole buone per la Mauresmo: «Uomo o donna, chi ha giocato ad alto livello non può che essere un valore aggiunto per un top player».
Amelia posa con c.t. Barazzutti e si gode la tranquillità del week-end genovese, sperando di vendicare la disfatta di Orleans 2009 (lei in campo), da cui partì l’epopea dell’Italia in Fed Cup: quattro titoli e una finale in otto anni. Ma il tema di genere tornerà di prepotente attualità quest’estate, quando Gala Leon Garcia, 41 anni, ex n.27 Wta, debutterà sulla panchina di Davis della Spagna retrocessa. Nadal non ha affatto gradito la sostituta di Carlos Moya, zio Toni ha rispolverato un vecchio cavallo di battaglia: «Come entrerà in spogliatoio?» (risposta di Gala: «Bussando»). Amelia sorride amara: «Panchina scomodissima. Troppo tardi per darle consigli: io senza l’o.k. dei giocatori non avrei mai accettato». Murray l’ha voluta e di lei si fida ciecamente. È così difficile da accettare?