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 2015  febbraio 09 Lunedì calendario

NAZIONALE - 09 febbraio 2015 CERCA 20/21 di 48 Commenti MERKEL DAVANTI ALL’ENIGMA PUTIN PAOLO GARIMBERTI IL PROLUNGAMENTO inatteso della trattativa, dopo il nuovo vertice a quattro in “conference call” di ieri, e l’appuntamento a Minsk per mercoledì dimostrano due cose

NAZIONALE - 09 febbraio 2015 CERCA 20/21 di 48 Commenti MERKEL DAVANTI ALL’ENIGMA PUTIN PAOLO GARIMBERTI IL PROLUNGAMENTO inatteso della trattativa, dopo il nuovo vertice a quattro in “conference call” di ieri, e l’appuntamento a Minsk per mercoledì dimostrano due cose. LA prima, già proclamata alla vigilia del primo round di venerdì scorso, ma ora conclamata dall’evidenza dei fatti, è che il tentativo di dialogo imposto dalla coppia Merkel-Hollande ai riluttanti Putin e Poroshenko è davvero l’ultima spiaggia per evitare che la crisi ucraina diventi vera guerra. La seconda conclusione da trarre è che la situazione sul campo di battaglia e sui tavoli della politica si è talmente incancrenita dopo l’effimero accordo del 5 settembre che ora è davvero molto complicato trovare il bandolo della matassa di un cessate il fuoco e scrivere una bozza di un’intesa che tenga più di qualche giorno come accadde per la precedente. Ci sono almeno tre grossi punti interrogativi sui quali gli sherpa, riuniti da oggi a Berlino, dovranno trovare un minimo comune denominatore di risposte prima che i quattro si ritrovino a Minsk. Il primo è come garantire un cessate il fuoco che sia un vero armistizio prodromo di pace: con il classico formato del “peacekeeping” Onu (e il rischio che la Russia, membro permanente del Consiglio di sicurezza, ci infili uomini suoi) o con gli ancora più teneri e indifesi osservatori Osce (l’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa, che non ha proprio un brillante curriculum di precedenti)? Il secondo interrogativo è: quale sarà lo status delle regioni orientali, quelle che i cosiddetti ribelli (ma anche molti organi di propaganda vicini a Putin) chiamano già “Novorossiya” (la Nuova Russia)? Una condizione di autonomia regionale con statuto speciale, ma incardinata nel sistema costituzionale e amministrativo di Kiev (come vorrebbe Poroshenko)? O una “federazione” con poteri molto più ampi e amministrazioni assai più decentrate, come chiedono i capi indipendentisti e certamente vagheggia Putin (che in realtà applicherebbe volentieri il modello di tacita incorporazione già adottato in Crimea)? Il terzo punto di domanda è come separare i belligeranti (oltre che con chi, come da interrogativo numero uno). Gli accordi di Minsk del 5 settembre prevedevano che le due parti in conflitto si ritirassero con le loro armi pesanti per 9 chilometri dalla linea del fronte. Ma da allora le linee sono cambiate e di parecchio; a vantaggio dei separatisti. Dunque, si torna con le mappe di guerra al 5 settembre 2014 o ci si aggiorna all’11 febbraio 2015? Sono, come è evidente, domande molto complicate, tecnicamente. Ma la risposta diventa ancora più difficile se si negozia mentre molti soffiano sul fuoco. Certamente buttano legna nel braciere gli estremisti delle opposte fazioni, soprattutto i capi delle forze paramilitari nostalgici del tempo che fu. I parallelismi con le guerre nei Balcani degli anni Novanta tornano sovente in questa Ucraina lacerata: allora come ora le ideologie (comunismo e perfino nazismo) hanno fornito la motivazione per gesta militari improntate solo a scellerata ferocia e odio etnico. Per costoro lo stato di guerra permanente è la copertura ideale. E anche per alcuni oligarchi ucraini che pescano nel torbido, o fanno il doppio gioco per ingrassare affari e potere personale. Se mai ci fosse accordo, mercoledì a Minsk, Poroshenko (che molti nazionalisti disprezzano chiamandolo «il cioccolataio» per le origini della sua ricchezza) sarebbe in grado di farlo rispettare? Ma perfino Putin potrebbe avere problemi se da incendiario si trasformasse in pompiere. L’atteggiamento degli Stati Uniti non aiuta. Nonostante le diplomatiche rassicurazioni di John Kerry, l’impressione è che la Casa Bianca guardi alla crisi ucraina con distacco; se non con un certo compiacimento. Il loro ambasciatore a Kiev è una sorta di proconsole: il governo di Poroshenko ha non pochi ministri di formazione americana, uno perfino di passaporto. L’America non si sente coinvolta da questa guerra europea. Non dovrà mandarci i marines, come in Iraq o in Afghanistan. È per la linea dura: strangolare Putin con le sanzioni e umiliarlo politicamente, magari anche con qualche batosta militare. La minaccia di inviare armi all’esercito ucraino, che potrebbe portare a un’escalation inimmaginabile, è pericolosissima. Non solo perché l’esercito ucraino è debole e mal addestrato. Ma anche perché è infiltrato in modo pervasivo dai servizi segreti russi, una rete di informatori ma anche di affiliazioni ex sovietiche, come è venuto fuori dopo l’arresto alcuni giorni fa di un alto ufficiale, Mykhailo Chornobai, che passava segreti militari ai separatisti della Repubblica popolare di Donetsk. Le armi americane potrebbero addirittura finire nelle mani dei filo- russi grazie ai servizi deviati di Kiev. Ma l’interrogativo più grande di tutti è capire che cosa passa nella testa di Putin. Neppure Angela Merkel è riuscita a decifrare questo enigma. La cancelliera (che parla russo perfettamente, e comunque molto meglio di quanto Putin parli tedesco nonostante il lungo soggiorno a Dresda per il Kgb) ci ha provato in tutti i modi. Ma dopo l’ultimo faccia a faccia durato ben quattro ore a Brisbane, in novembre ai margini del G20, si è arresa, delusa dalla sua impassibilità, ma anche dalle sue patenti menzogne: «È un bugiardo », ha detto ai suoi stretti collaboratori, che aveva escluso dall’incontro nella speranza di trovare un «feeling» diretto. Se ha deciso di provarci ancora è perché è consapevole che questa è davvero l’ultima spiaggia per la diplomazia. Se a Minsk Angela Merkel non riuscirà a trovare la chiave dell’enigma allora si rischia che il conflitto destrutturato in Ucraina diventi una guerra strutturata. Nel cuore dell’Europa. © RIPRODUZIONE RISERVATA