Alberto Mucci, La Lettura - Corriere della Sera 8/2/2015, 8 febbraio 2015
«MI FARO’ IBERNARE, PER RINASCERE»
La «criopreservazione» è il termine usato per descrivere il congelamento di un corpo organico, una pratica che ha sempre affascinato l’uomo, dal racconto di Jack London Mille morti, a Vanilla Sky di Cameron Crowe. Oggi i criopreservati nel mondo sono circa duecento. Immersi in azoto liquido a meno 196 gradi, i «crionauti» (così vengono chiamati i corpi ibernati dagli addetti ai lavori) vorrebbero venire scongelati quando la cura per la malattia che ha causato il loro decesso sarà stata scoperta, nella speranza che si possano recuperare le funzioni vitali. Cosa questo possa significare concretamente, a oggi, è un azzardo.
I fondamentali della crionica, cioè la conservazione dei corpi attraverso il freddo, sono due: il primo è che i pensieri e i ricordi, la conoscenza, la memoria dell’essere umano possano sopravvivere nelle strutture del cervello anche dopo il decesso, almeno per un certo periodo. Il secondo, che vorrebbe essere una elaborazione del primo, è che alcune morti possano considerarsi temporanee. Postulati che però non trovano riscontri positivi nella comunità scientifica e si basano soprattutto sulla speranza nel progresso tecnologico futuro. Nel dubbio, ai crionisti non rimane che ibernarsi.
Max Moore, inglese trapiantato negli Stati Uniti e oggi a capo di Alcor, forse il principale istituto di crionica al mondo, fa una distinzione tra quella che chiama «morte irreversibile» e quella al contrario che chiama «morte reversibile», come scrive in un capitolo della sua tesi di dottorato: «Rispetto a cinquant’anni fa, esistono tecniche mediche come la rianimazione polmonare e la defibrillazione che prima non c’erano. Quelle persone morte cinquant’anni fa oggi non lo sarebbero. Con il senno di poi è giusto definirle morte?». Per Moore no.
Ma le idee della crionica, al di fuori del pubblico della fantascienza, sono da sempre soggette a critiche. Di matrice religiosa: l’idea di un aldilà profano creato dalla tecnologia contrasta con la visione religiosa della vita come dono di un’entità più alta. Ma anche di segno opposto: per Michael Shermer, autore di testi scientifici, la crionica è invece «troppo simile alla religione, promette tutto ma è quasi del tutto basata su una cieca fiducia nel futuro». Intanto, però, c’è chi si affida alla scienza, anche tra gli italiani.
Giovanni Ranzo, romano, 55 anni, nel 2006 ha firmato un contratto per essere ibernato con l’americano Cryonics Institute. Spiega: «Ho tanti amici a cui parlo della mia decisione. Molti mi dicono che non si può giocare a fare Dio, che la vita è una e bisogna farsela bastare così come ci viene data. Rispondo che, se c’è la possibilità, preferisco rimanere nell’al di qua». Ibernarsi costa tra i 10 e i 150 mila euro a seconda del servizio richiesto e dell’istituto scelto. Come funziona? «Io ho firmato un’assicurazione sulla vita il cui intestatario è il mio istituto di crionica invece di un parente o un figlio/a. Il costo annuale alla fine è quanto quello di un’assicurazione per una seconda macchina».
Per arrivare alla sua destinazione oltre-Atlantico, il corpo di un crionauta solitamente utilizza i servizi di una società di pompe funebri inglese, la Albin&Son. Appena un firmatario muore, la Albin&Sons viene avvisata, manda un aereo privato a prelevare il corpo che viene portato nel Regno Unito, trasbordato infine su un altro aereo con destinazione gli Stati Uniti. Questo almeno prevede il copione. In Italia le condizioni burocratiche rendono il trasporto una pratica più complessa.
È stato così per Aldo Frusciardi, il primo italiano ad essere ibernato. L’imprenditore, settantenne, è morto d’infarto il 4 luglio 2012; il suo corpo è arrivato a destinazione quattro giorni dopo la morte. Il primo problema per Frusciardi è stato la dichiarazione ufficiale di decesso. In Italia, una persona, per essere definita «legalmente morta», deve esserlo da almeno 24 ore e necessita l’ufficialità della firma del medico legale. Un lasso di tempo che rischia di danneggiare il cervello e i tessuti in cui la nostra memoria, i nostri dati, la nostra personalità, sono conservati. Arrivato al Cryonics Institute, Frusciardi è stato raffreddato fino a raggiungere la temperatura di meno 196 gradi. Nel suo corpo è stato iniettato un crioprotettore (l’eparina), un liquido anticongelante la cui funzione è proteggere le cellule dal congelamento perché se questo avvenisse i tessuti rimarrebbero danneggiati in modo irreparabile, come dimostrano alcuni precedenti esperimenti.
Nel 1955 il chimico britannico James Lovelock congela alcuni ratti per poi rianimarli usando la tecnica della diatermia, una pratica con proprietà curative basata sull’aumento della temperatura di alcune zone del corpo non superficiali. I ratti ripresero alcune funzioni vitali, ma erano poco più di zombie con attività celebrali quasi nulle. Un esperimento simile fu portato avanti nel 1987 all’Università di Berkeley. Lì, il laboratorio Trans Times Inc congelò un cane per una quindicina di minuti riportandolo poi in vita. Furono riscontrati gli stessi problemi dei ratti di Lovelock: funzioni celebrali danneggiate in maniera irreparabile. Andò meglio al Safar Center for Resuscitation Research dell’Università di Pittsburgh nel 2005: alcuni cani, tramite la sostituzione del sangue con una soluzione salina mista a glucosio e ossigeno (temperatura 5 gradi), furono fatti morire clinicamente. Dopo tre ore il processo fu invertito e i cani riportati in vita con minori danni alle cellule. Per il futuro, ogni scenario è azzardato.
In un’intervista al «Guardian», Ben Best, presidente del Cryonics Institute, alla domanda sugli sviluppi futuri nel campo risponde: «Penso che le persone che hanno deciso di criopreservarsi oggi saranno scongelate con successo nei prossimi cinquanta o cento anni. Dato l’attuale progresso in campo medico e la ricerca nel campo delle nanotecnologie, se non riusciamo a farlo nei prossimi cento anni non ci riusciremo mai».