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 2015  febbraio 07 Sabato calendario

«LA MIA SECONDA VITA DA COACH»

La potenza e la fantasia. Il sorriso e la riservatezza. Amélie Mauresmo è tutto e il contrario di tutto. Da giocatrice ha conquistato due slam, 25 tornei, il numero 1 al mondo e ha dovuto ascoltare parole che l’hanno ferita come lame: «Guardatela — disse di lei Martina Hingis — è un mezzo uomo», facendo riferimento alla sua potenza e alla sua omosessualità dichiarata. Ora che Amélie allena Andy Murray deve sentir mormorare che non è all’altezza. Perché è una donna. Non c’è pace per Amélie che, dopo aver portato Murray alla finale degli Australian Open, è volata da Melbourne a Genova per guidare la Francia in questa delicata trasferta di Fed Cup nei quarti contro l’Italia. Per lei, arrivata sulla panchina nel 2012 al posto di Nicolas Escude, è la prima volta nel Gruppo Mondiale. Un successo spedirebbe le francesi in semifinale per la prima volta dal 2007, una sconfitta allo spareggio per restare tra le otto big.
Amelie, è l’esame di maturità.
«Già, un incontro difficile ma non impossibile. Le ragazze ce l’hanno messa tutta per risalire nel Gruppo 1, vogliamo continuare. Io e lo staff abbiamo dato il cuore, non vogliamo fallire».
I precedenti danno ragione alla Francia, ma gli ultimi incontri li ha vinti l’Italia.
«Non siamo favorite, ma una squadra solida può fare cose interessanti e le ragazze hanno già dimostrato di sapersi superare. Perché non ripetersi?».
Nelle ultime tre vittorie dell’Italia sulla Francia di Fed Cup lei era presente. Ne ricorda una in particolare?
«Difficile dimenticare la sconfitta in casa 5-0 nel 2009. E ricordo molto bene il 2007 quando abbiamo perso 3-2 a Castellaneta. L’immagine più vivida è quella del tifo sfrenato e della confusione: anche qui avrà una parte importante. La Cornet è di Nizza e porterà amici e parenti, ci farà sentire un po’ meno in trasferta ma saremo sicuramente in minoranza».
Sara Errani la conosce bene, come giudica il gioco della Giorgi?
«La trovo una ragazza molto interessante e con grande potenziale. Non sono riuscita a seguirla molto ma sono certa che sarà un’avversaria difficile».
È capitana di Fed Cup e coach di Murray: più difficile allenare un gruppo di donne o un uomo solo?
«Lavori molto differenti, difficile paragonarli. Se devi gestire un gruppo devi stare attenta a molte cose. L’aspetto psicologico è molto importante: smussare gli angoli, allentare le tensioni, capire dove spingere e dove mollare. E’ molto stimolante».
Ma non deve essere semplice.
«Non lo è, anche perché con la Nazionale si ha davvero poco tempo per lavorare insieme, ovviamente le ragazze sono sempre in giro per i tornei».
Ha vissuto una prima vita da giocatrice, la seconda è da allenatrice: la terza quale sarà?
«Non ci ho pensato, per ora mi concentro sulla seconda...».
Da giocatrice regina delle classifiche a coach del giocatore numero 4 al mondo.
«Quando sei un giocatore sei tu il protagonista. Sei la persona a cui tutto gira intorno, nel bene e nel male. In campo con la racchetta ci vai tu, le pressioni sono immensamente più alte e a volte è faticoso».
Adesso?
«Adesso ho altre responsabilità, devo stare un passo indietro. È bello ma diverso. Sto imparando a fare programmi a lunga scadenza, prima ragionavo settimana per settimana».
Quanto lavora con Murray?
«Circa 20-25 settimane l’anno, quando ho accettato ero già capitano e ho chiesto alle ragazze se fossero d’accordo. Subito dopo la finale sono volata qui, è stata dura ma sono due ruoli che mi insegnano tanto».
Cosa sta imparando?
«Le esperienze che faccio in squadra riesco a trasferirle sul lavoro con Andy. Con lui imparo esercizi che magari uso per la squadra, e così anche la programmazione del lavoro».
Quando ha accettato di allenare Murray la notizia è stata accolta con molto stupore, e accompagnata da un po’ di polemiche.
«Alle polemiche non faccio molto caso se sono convinta della mia scelta. Ho sempre detto di voler essere considerata come un coach e non una donna che allena un uomo».
Di fatto però è così.
«Sì, ma non cambia assolutamente nulla. Ci sono bravi tecnici e cattivi tecnici, bravi atleti e altri meno talentuosi. Perché stare a guardare se si tratta di maschi o femmine? Sono i risultati che devono parlare».
Ma non le manca un po’ l’adrenalina dei match.
«Certamente ora conduco una vita molto più tranquilla, meno viaggi, meno impegni, meno allenamenti... sono diventata più sedentaria. Ma va benissimo così, non ho più l’età per fare tutta quella fatica».
Cosa rende un buon giocatore un campione?
«La voglia di lavorare, essere rigoroso, non accontentarsi, andare avanti anche quando preferiresti fare qualunque altra cosa».
È solita festeggiare i grandi risultati stappando un vino speciale. La prossima bottiglia?
«Ci sto lavorando». Santé, Amelie.