Carlo Laudisa, La Gazzetta dello Sport 7/2/2015, 7 febbraio 2015
GIOVINCO: «CARA JUVE, NON HO FALLITO»
Ad ali spiegate verso un nuovo mondo. Nel viaggio che lo porta in Canada Sebastian Giovinco lascia poco spazio alla nostalgia. Piuttosto s’è invaghito del progetto-Toronto. Dell’idea di essere il leader di un team di successo nella Mls. E con uno stipendio da favola: 8,6 milioni di euro netti, bonus compresi, sino al 2020. Una torta da oltre 40 milioni. Il bagno di folla all’aeroporto è una prova di quanto entusiasmo ruoti attorno al suo ingaggio. E il suo io ne esce ingigantito. «È stato un colpo di fulmine. Dal giorno in cui Andrea D’Amico mi ha prospettato l’interesse sono passate 48 ore e il manager del Toronto Tim Bezbatchenko è volato a Torino per conoscermi».
E’ andata bene evidentemente.
«Loro erano scottati dalla fuga di Defoe e volevano sincerarsi della mia disponibilità. Ci siamo piaciuti subito».
In che maniera?
«Mi hanno conquistato regalandomi la loro maglia col 10: il numero che alla Juve non ho avuto mai. E poi mi hanno consegnato un iPad con tutte le mission del club. Sono forti».
E con tutti quei denari sino al 2020.
«Il pranzo è durato un’ora. Di soldi non s’è parlato. Ho scelto prima di conoscere le cifre. Ma non sono stupito: è solo il loro primo investimento».
Quanto tempo s’è preso per riflettere?
«Ho deciso subito, pianificando con i miei».
Risultati?
«Papà Gianni ha borbottato ma è stato il primo a volare qui. Mamma Elvira ha sempre seguito me e Giuseppe con discrezione. Il sì più convinto è arrivato da Sharj: non vedo l’ora che arrivi con nostro figlio Jacopo che a maggio compie 2 anni. C’è da scegliere casa. E non solo».
Quindi ha voltato già pagina?
«Le novità mi entusiasmano: poi mi sento corazzato. In aramaico il nome della mia compagna significa cammino. Un segno del destino».
Con Conte alla Juve non sarebbe andato via.
«Il rinnovo era vicino, poi cala il silenzio con me mentre il club fa sapere ai miei agenti che il nuovo tecnico ha altre idee».
Allegri cosa le ha detto?
«Nulla. Mai. E’ un tecnico bravo, i risultati sono con lui. Ma ciascuno ha i suoi metodi».
A Conte l’ha detto, no?
«L’ho chiamato e mi ha fatto piacere che abbia condiviso il mio passo. Sia chiaro: non gli ho chiesto nulla della Nazionale né lui mi ha fatto promesse. Chissà, magari in Canada un giorno verrà anche lui...».
Cosa si aspetta?
«Sono concentrato. Non è mai facile, da nessuna parte. Ma sarei felice di meritarmi l’azzurro».
Sente di aver fallito in Italia?
«Solo chi è invidioso può pensarla così. Ho vinto 2 scudetti e mezzo, oltre a 2 Supercoppe. Avrei potuto fare di più, ma s’è creata un’aria strana. Dopo un po’ sono stato accusato di segnare solo gol non decisivi: un marchio ossessionante».
Neanche Morata segna tanto.
«Alvaro è forte, farà strada. Mi fa piacere che almeno a lui siano evitati certi trattamenti».
Non si può dimenticare la scena di Conte che la protegge dai fischi.
«Quel giorno mi imbarazzò chiedendomi di rallentare l’uscita e avvicinarmi a lui. Poi se la prese pure con la stampa in mia difesa. Lui è così. Non a caso è arrivato dov’è arrivato».
Si rimprovera qualcosa?
«A un certo punto ho privilegiato gli altri. Più assist che gol: non bene».
Poi?
«Mancava la fiducia, nonostante le attenzioni di Conte. Non mi hanno più fatto tirare le punizioni e i gol sono calati».
Ha salutato i compagni?
«In fretta, troppi impegni».
Lascia i compagni di covata Marchisio e De Ceglie.
«Tra noi c’è sempre stato un buon rapporto, ma alla Juve la prima regola è che si deve pensare a se stessi».
Come andava con gli stranieri?
«Tevez ha dato un apporto notevole: con lui e gli altri sudamericani ho legato molto, tanto che i compagni italiani mi chiamavano “il boliviano”. Poi Pogba: è fortissimo, simpatico e alla mano. Se la Juve resta così non deve porsi limiti».
Del Piero e la sua carriera: ha inciso tanto?
«Sì. Come compagno è stato professionale. Ma il paragone ha pesato. Siamo diversi per caratteristiche e non mi sono mai paragonato a lui. Eppure certe etichette è difficile toglierle».
Com’è andata con Montella?
«A Firenze a fine gara mi chiese se ero pronto a seguirlo. Io dissi sì perché mi piace il suo gioco, ma il club non ha mai fatto un’offerta».
Ora bisogna imparare l’inglese.
«Il primo video di saluti mi ha procurato degli sfottò, ma è solo l’inizio. Fa parte della sfida».
A Toronto ci sono tanti italiani.
«Soprattutto siciliani e calabresi, come mio padre e mia madre. Sono orgoglioso delle radici anche se sono nato a Torino. Mi sentirò a casa».
Quella faccia da bravo ragazzo non lega con l’immagine del talento, spesso sregolato.
«Difendo la mia normalità. Solo così ho potuto toccare certe mete».
Si sente ancora juventino?
«Sono un professionista. Ora darò tutto per il Toronto. Ringrazio tutti alla Juve per questi miei anni comunque belli, ma ora è importante per me pensare al futuro».
Cosa le mancherà dell’Italia?
«Riparliamone tra 6 mesi, di sicuro non avrò nostalgia delle moviole e delle polemiche sugli arbitri. Il resto? Qui mi confronterò con i Gerrard o i Lampard. Leggo anche di Di Natale a New York, sarebbe bello sfidarlo».