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 2015  febbraio 08 Domenica calendario

TXALCALA, DOVE 4 RAGAZZI SU 5 VOGLIONO DIVENTARE TRAFFICANTI

«L’ho incontrata qualche settimana fa, sul bus. Mi è quasi corsa incontro e mi ha mostrato con orgoglio lo zaino pesante. Era pieno di libri. ’Vedi – mi ha detto –. Ce la sto mettendo tutta per essere promossa». Laura (questo, come gli altri nomi, sono di fantasia per ragioni di sicurezza) parla di Analia, la ragazzina trovata sul pullman, con orgoglio. «Se l’avesse sentita sei mesi fa…». Quando, lo scorso anno scolastico, Laura e l’équipe di Cauce Ciudadano si è presentata nella scuola della 15enne per il ’laboratorio’, Analia era stata categorica. «A me non importa niente né di voi né della scuola. Quando cresco voglio entrare nell’’affare’, come le mie zie».
Non è necessario spiegare di quale affare si tratti. In questo paese di poco più di 10mila abitanti del Messico centrale, nello Stato di Txalcala, ’affare’ è l’eufemismo dietro cui si nasconde il secondo più redditizio commercio dopo la droga: la tratta di donne. Vi si dedica tra il 10 e il 30 per cento della popolazione. Quattro adolescenti su cinque aspirano a diventare ’venditori’ di donne secondo un recente sondaggio. Così gli inculcano i parenti, pure loro trafficanti. La tratta è una specie di ’attività ereditaria’.
Il meccanismo è surreale. I ragazzi vengono inviati nei villaggi indigeni o nelle zone più povere del Paese a ’caccia’ di fidanzate da ingannare, promettendo loro una vita agiata, o da ’compra- re’ dai genitori in cambio di una misera dote. Dopo il matrimonio, le giovani vengono convinte con dal neomarito e dai suoi parenti – maschi e femmine – della necessità di prostituirsi per aiutare la famiglia. Prima che se ne rendano conto le rinchiudono in uno dei troppi postriboli illegali disseminati lungo la frontiera Usa, a New York, Los Angeles. Le reti di ’padrotes’ (chi sfrutta la prostituzione schiava) del Txalcala hanno tentacoli in metà delle province e messicane e negli Usa, come denunciato dalle autorità e dalla diocesi. Partita una moglie, lo sposo ne cerca una nuova. Alla fine, ne hanno dieci, 15, 20: ognuna ’rende’ in media 2mila dollari al giorno. Il grado connivenza è evidente. «È stata costruita una cultura perversa, i cui valori legittimano la tratta. L’unico modo per scardinare il meccanismo è offrire valori alternativi. Da qui la nostra scelta di agire sull’educazione », racconta ad ’Avvenire’, Laura. Lei e 15 esperti – sociologi, psicologi, insegnanti – girano le scuole dello Stato per proporre i cosiddetti ’laboratori’, percorsi di una settimana con gli studenti divisi in gruppi.
«Lavoriamo sulle relazioni. Chiediamo loro di esprimersi sui rapporti d’amicizia, d’amore. Alla base della tratta c’è la riduzione in merce di un essere umano. Se lo vedi come un tuo pari, non puoi venderlo», spiega l’esperta. Durante il primo laboratorio di Laura, Nelson, 12 anni, ha sbottato: «Voglio lasciare la scuola e fare il ’padrote’ come mio padre, perché ha un’auto stupenda. Mia madre non può salirci: lei deve solo lavorare per mantenere noi maschi ». Una settimana dopo non era più tanto sicuro. «’Forse è meglio che vada alle superiori’, mi ha detto quasi sottovoce – afferma Laura –. Non capita, spesso: 10 volte in ogni scuola, su 300 studenti. Però, ciascuna è un seme di futuro. Ciò mi dà la forza di affrontare le minacce quotidiane di chi non vuole il cambiamento».