Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 08 Domenica calendario

IL COMPROMESSO GRECO

La situazione greca si risolverà molto probabilmente con un accordo tra il nuovo governo e le istituzioni internazionali che operano in varie forme e mezzi come creditori del Paese (la Troika). Come spesso succede in questi casi, l’accordo sarà raggiunto all’ultimo momento utile, perché una prova di forza da entrambe le parti è necessaria per un compromesso nel giusto mezzo. Osserveremo ancora molto teatro, quindi, camicie fuori dai pantaloni, affermazioni esagerate, espressioni del viso come quella del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble alla menzione dell’ascesa del nazismo negli anni ‘30, e anche mosse apparentemente solo tecniche come quella della Banca centrale europea riguardante l’offerta di liquidità al sistema bancario greco.
Anzi, io non credo che l’accordo sarà in sostanza molto diverso da quello che sarebbe stato raggiunto se Syriza non avesse vinto le elezioni. Dico così perché i margini di contrattazione non sono elevatissimi. La Grecia non ha alcun interesse a tagliare unilateralmente il proprio debito (cioè ad un default), come promesso da Syriza in campagna elettorale. Questo perché al momento, e come conseguenza della ristrutturazione precedente, le condizioni di ripagamento del debito sono molto favorevoli per la Grecia. Sono cioè a bassi tassi e a lungo periodo. A far i conti, un po’ approssimativamente, si arriva ad un costo del debito (al netto degli interessi che la Bce e le banche centrali nazionali ritornano alla Grecia sotto certe condizioni) di circa il 2 percento del Prodotto interno lordo e ad una maturità media superiore ai vent’anni. Una ulteriore ristrutturazione farà parte del pacchetto di accordi ma non cambierà molto la situazione.
L’idea che circola di legare il ripagamento del debito alla crescita del Pil può sembrare buona (perché condizionerebbe il ripagamento alla disponibilità di risorse per farlo, limitandone il costo sociale) ma è in realtà pessima (perché darebbe al governo greco incentivi a politiche di spesa clientelare che non generano crescita; incentivi peraltro già fin troppo presenti nel sistema politico-istituzionale del Paese e nel sistema ideologico di questo governo). Speriamo sia abbandonata rapidamente.
Importante sarà il compromesso riguardo al surplus primario (la differenza tra entrate e spesa pubblica al netto degli interessi) e le riforme strutturali che sono parte degli accordi al momento in vigore con la Troika. Mi pare che la Grecia abbia poche carte in mano, a questo proposito, ma si vedrà. Quello che la politica, non solo in Grecia, chiama — con una intelligente invenzione retorica — austerità non è altro che vivere coi propri mezzi, senza deficit di bilancio permanenti (superiori al 10 percento del Pil in Grecia prima della crisi). Un po’ di margine rimane, ma non molto. L’idea di spostare le riforme verso un attacco ai monopoli e alla corruzione è ottima, se fattibile. La Grecia ha migliorato in modo abbastanza significativo la propria posizione nelle classifiche riguardanti la facilità di condurre affari della Banca mondiale negli ultimi anni. Per quanto poco valgano queste classifiche, è un buon segno, ma vi è ancora un grosso margine di azione per rendere il Paese più produttivo.
Alla fine il compromesso sarà in larga parte una questione di facciata. Permetterà a Syriza di dichiarare vittoria e al contempo alla tecnocrazia europea di prendersi i meriti dello scampato pericolo per l’Euro e per l’Unione.
L’unico elemento in grado di far saltare l’accordo è l’attacco in corso al sistema finanziario greco. Attacco sostanzialmente tutto interno, si badi bene, che si manifesta nell’uscita dei depositi dalle banche del Paese (verso l’estero chi può, sotto il materasso gli altri). Per quanto la Bce abbia meccanismi istituzionali appropriati atti a controllare crisi di liquidità, è facile immaginare la degenerazione della situazione in una spirale insostenibile e in realtà incontrollabile. Il pericolo è ancora più grave perché una crisi di liquidità potrebbe essere usata, e quindi addirittura cercata, da entrambe le parti nella contrattazione. Questo sarebbe davvero giocare col fuoco, sulla pelle dei greci. Speriamo si possa evitare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA