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 2015  febbraio 08 Domenica calendario

ULTIMA CHIAMATA PER L’UCRAINA. HOLLANDE: SENZA INTESA E’ GUERRA

A Davos, due settimane fa, Petro Poroshenko si aggirava tra banchieri, gestori di hedge fund e top manager con un pezzo di un pullman di civili centrato da un razzo dei separatisti filorussi. Ieri, per gli esperti internazionali di sicurezza della Conferenza di Monaco, il presidente ucraino ha preparato un nuovo colpo di teatro: a un certo punto dell’intervento ha cominciato a sventolare una mezza dozzina di passaporti. «Di quali prove avete ancora bisogno?» ha quasi gridato, sostenendo si tratti di passaporti di militari russi che si erano «persi» - e Poroshenko ha disegnato in aria, piegando indice e medio, il segno delle virgolette - «all’interno dei nostri confini».
Mentre tra gli analisti rimbalzava il commento del senatore repubblicano John Mc Cain al discorso di Angela Merkel - «follia» - dopo che la cancelliera aveva escluso categoricamente qualsiasi invio di aiuti militari in Ucraina, Poroshenko ha rinnovato il suo appello agli alleati occidentali. «Siamo una nazione indipendente e abbiamo il diritto di difenderci», ha sostenuto, aggiungendo che «nel corso dell’offensiva abbiamo dimostrato di essere responsabili e quindi non useremo equipaggiamenti difensivi per attaccare». Quanto al Donbass, «in questa situazione, non abbiamo bisogno di alcun contingente di pace», ha puntualizzato.
L’avvertimento di Parigi
A suscitare qualche preoccupazione, l’intervento di François Hollande: il presidente francese ha sostenuto che il negoziato in corso con Putin «è tra gli ultimi sforzi» per una soluzione alla crisi in Ucraina. Dopo, ha sostenuto, «l’unico scenario è la guerra». Prova a fare il pompiere da Mosca Vladimir Putin: la Russia, ha detto il capo del Cremlino, «non vuole combattere con nessuno», anzi vuole «collaborare con tutti».
Oggi il summit a distanza
Ma intanto, mentre le trattative continuavano e fonti governative francesi raccontavano che gli ostacoli più grossi sul negoziato in corso con Putin riguardavano ancora ieri pomeriggio le questioni attorno allo «statuto dei territori», al «controllo delle frontiere» ma anche «al ritiro delle armi pesanti», Merkel ha mandato una serie di messaggi distensivi, anche a Poroshenko. Durante il suo intervento si è rivolta espressamente al presidente ucraino, seduto in prima fila, ringraziandolo «per il rischio politico che si è assunto» con le cessioni accordate ai separatisti negli accordi di Minsk. Oggi la teleconferenza con Putin, Hollande, Poroshenko e Merkel dirà se l’accordo discusso venerdì sera al Cremlino e messo a punto dagli sherpa della diplomazia andrà in porto.
Impressionanti, infine, le stilettate da guerra fredda che il vicepresidente americano Joe Biden e il ministro russo degli Esteri Lavrov si sono scambiati dal palco. Tra l’altro, pur usando toni meno ultimativi rispetto agli ultimi giorni, Biden ha detto che gli ucraini «hanno il diritto di difendersi», segno che la riflessione sull’invio di armi a Kiev è ancora in corso a Washington. Anche se una fonte diplomatica italiana fa notare che «Biden non è Kerry» e il Segretario di Stato americano ha una posizione meno aggressiva con i russi. Ma se Lavrov ha accusato gli americani di «dare alla Russia la colpa dei problemi nel mondo», Biden ha sottolineato che «Putin deve fare una scelta: lasciare l’Ucraina o affrontare isolamento e costi economici». Soprattutto, l’americano ha avvisato il presidente russo «noi giudichiamo i fatti: ha promesso la pace e ha mandato i carri armati».