Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 7/2/2015, 7 febbraio 2015
PETROLIO, IN DUE SETTIMANE QUASI IL 20% DI RECUPERO NON ACCADEVA DA 17 ANNI
Il petrolio sembra aver ritrovato una vocazione rialzista. La volatilità è alle stelle, con grande soddisfazione degli hedge funds. A consuntivo però il recupero messo a segno nelle ultime due settimane è da Guinness dei primati: +18,5% per il Brent, una performance che non si realizzava dal 1998. Nemmeno nel 2009, quando il barile aveva ripreso quota rapidamente dopo essere stato travolto dal crollo dei mercati finanziari, si era visto uno sprint come questo.
Il greggio vale tuttora circa la metà rispetto all’estate scorsa: il Brent ha chiuso a 57,80 $ (+2,2%) e il Wti a 51,69 $ (+2,4%). Ma il rally degli ultimi giorni, sia pure interrotto da clamorosi scivoloni, lascia perplessi. E fa sospettare che sia frutto della presenza massiccia di fondi algoritmici, che rispondono in millisecondi a dati macroeconomici o segnali provenienti da altri mercati. I fondamentali del petrolio di certo non giustificano un’inversione di tendenza così repentina: la domanda per ora dà segnali di risveglio piuttosto deboli, mentre l’offerta non solo non sta diminuendo, ma nemmeno ha iniziato a rallentare. Perché questo accada ci vorrà ancora qualche mese, mentre un riequilibrio del mercato - gravato da un surplus di 1,5-2 milioni di barili - potrebbe richiedere addirittura anni.
Detto ciò, l’industria petrolifera ha inequivocabilmente iniziato a frenare (anche se come un gigantesco Tir ha uno spazio di frenata lunghissimo).
Ulteriori conferme sono arrivate ieri. Anche Statoil, come le altre grandi compagnie, ha annunciato un taglio degli investimenti e delle spese correnti, dopo aver accusato una perdita netta di 1,18 miliardi di dollari nel quarto trimestre 2014. E le statistiche di Backer Hughes hanno certificato una nuova diminuzione del numero di trivelle attive negli Usa: la settimana scorsa se ne sono fermate altre 83 - di cui ben 80 sono impianti di perforazione orizzontale, i più efficienti per lo shale oil - e il totale è sceso così a 1.140, il minimo da dicembre 2011.
Il mercato forse si aspettava di più dopo il crollo della settimana precedente, che era stato il più netto da una trentina d’anni, e il petrolio ha limato i rialzi. Ma non li ha cancellati del tutto, sostenuto forse anche dalle tensioni geopolitiche. In Yemen i ribelli sciiti Houthi hanno sciolto il parlamento, mentre in Libia continuano ad esserci disordini (e la produzione di greggio è ormai ridotta a 325mila barili al giorno dai quasi 900mila dello scorso ottobre). Alcune compagnie straniere attive in Kurdistan, tra cui Gulf Keystone Petroleum e Dno, hanno inoltre limitato le esportazioni, in reazione alla mancanza di pagamenti regolari dal governo.
Il mercato sembra d’altra parte aver ignorato l’ennesima salve sparata dall’Arabia Saudita nella (presunta?) guerra dei prezzi in atto tra i produttori petroliferi. I listini per marzo diffusi giovedì sera da Saudi Aramco mostrano un nuovo ribasso dei prezzi per i clienti asiatici, che nel caso dell’Arab Light (offerto a sconto di 2,30 $ sull’Oman-Dubai) sono ora ai minimi da almeno 14 anni. Riyadh ha invece alzato i prezzi per l’Europa e - per la prima volta da luglio - anche per gli Stati Uniti.
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Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 7/2/2015