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 2015  febbraio 07 Sabato calendario

IL SUPER ESERCITO DELLO ZAR UNA MINACCIA PER L’OCCIDENTE L’INCUBO DELLA GUERRA CHE SPAVENTA L’EUROPA

A settant’anni esatti dalla spallata definitiva dell’Armata Rossa sul Fronte Orientale nell’inverno del 1945, la guerra torna a bussare alle porte della nostra Casa Europa e ci costringe a guardarla di nuovo negli occhi. Mentre migliaia di innocenti, e di meno innocenti — le cifre variano fra i due e i cinquemila — muoiono lungo le rive di fiumi come il Don che costringono la memoria a viaggi a ritroso in ricordi strazianti, l’eterno bivio tra escalation e diplomazia si ripresenta implacabile davanti alle cancellerie occidentali. Le armi, e i riarmi, le mosse sulla scacchiera del Risiko si succedono, proprio nei luoghi che hanno risucchiato il nostro continente, i nostri nonni, le nostre nazioni nel vortice, dal Baltico al Mar Nero, dalla Vistola al Caucaso e che erano sembrati per sempre congelati nell’iceberg di una Guerra Fredda ormai disciolta in alluvione.
Siamo ben oltre i massacri balcanici, le stragi etniche eruttate dal vulcano Jugoslavia scoperchiato dalla morte di Tito, geograficamente vicine, ma strategicamente limitate ai regolamenti di conti fra popolazioni circoscritte, senza un vero rischio di scontro diretto di un’America a lungo indifferente e di una Russia esausta dopo lo sfascio della Unione Sovietica. L’inquietudine che producono le immagini e i racconti di un altro classico di ogni alba di guerra, le reciproche, sdegnate indimostrabili accuse di atrocità e di provocazioni moltiplicate nella grande galleria del vento della Rete, scaturisce dai nomi prima che dai fatti, ancora limitati. Ci volano addosso più dai ricordi che dalla cronaca. L’Ucraina, nella memoria storica dell’Europa evoca paura, è purtroppo sinonimo di tragedie di grandi cieli e orizzonti di neve macchiati dal sangue anche italiano, disseminati di rottami di panzer, di fosse comuni scavate dalle stesse vittime che vi si sarebbero dovute gettare dentro, e da quella piuma radioattiva che proprio da quelle terre cominciò a soffiare verso l’Ovest e il Sud.
Creano ansia, e non rassicurazione, quei leader e governanti europei ed americani che sbattacchiano, senza un’apparente strategia concordata e comune, da una capitale all’altra, in bilico fra le sirene del riarmo e la sindrome dell’ appeasement, dell’accondiscendenza verso il neo bullismo di quel Vladimir Putin che proprio oggi un rapporto psichiatrico segreto del Pentagono e pubblicato grazie al Freedom of Information Act, gli americani sospettano di “autismo”, in senso clinico, non metaforico. I leader delle nazioni europee e degli Stati Uniti oscilla- no nell’ipotesi di dotare le forze del governo Poroshenko, l’unico riconosciuto a Kiev, di «armi offensive letali», come le ha definite Barack Obama, di armamenti veri, come tank, artiglierie, velivoli, pungolato dagli immarcescibili falchi repubblicani in Parlamento, come il vecchio nemico, il senatore McCain. O tentano, come Merkel e Holland di uscire dalla trappola nella quale loro stessi si sono ficcati con sanzioni che provocano tanti danni a chi le subisce quanti a chi le infligge.
Spaventa, insieme con quella “drole de guerre”, quella guerra ancora non guerra fra avversari che si uccidono senza riconoscersi e qualificarsi, nascosti sotto false bandiere, che sono insieme burattini e burattinai nella rappresentazione tragica, la completa incertezza sul copione e sulle intenzioni. L’Ucraina, l’incolpevole crogiolo che ha consumato, e non solo nel XX secolo, tante vite appare, come già la Serbia nel 1914, come la Danzica nel 1939, come le Torri Gemelle del 2001, più l’occasione che la causa profonda per impugnare le spade. Nessuno dice di volere la guerra a tre ore di volo da Milano, da Parigi, da Berlino o a un’ora da Mosca ma la macchina degli arsenali ha ricominciato a macinare.
La Nato, qualunque cosa significhi ormai questa alleanza alla ricerca di un nemico contro il quale giustificarsi, prepara nuove «forse di intervento rapido», certamente non per intervenire in Portogallo o in Sardegna, ma pensa all’Ucraina e Mosca replica subito con la promessa di dare «risposte adeguate», formula che non vuol dire nulla, ma può nascondere il peggio. Sempre la Nato considera seriamente ipotesi di allargamento delle proprie frontiere e quindi delle proprie garanzie militari alle repubbliche Baltiche, terrorizzate dal neo espansionismo russo. La Polonia, secolare vaso di coccio fra l’acciaio dei vicini, invoca armi e rapporti più stretti. Putin, nel panico di una crisi economica e finanziaria che comincia a rasentare il crac, sente avvicinarsi a pressione dell’Europa e della nemica di sempre, la Germani.
Ha quindi disperato bisogno di riattizzare il patriottismo e il nazionalismo del proprio “narodny”, del popolo russo. Mentre l’inflazione cresce, la liquidità scarseggia e soltanto il prezzo dello vodka, il grande anestetico popolare, resta invariato, dopo tanta retorica contro l’alcolismo. Ma i rubli per riarmare l’Armata Rossa, devastata da decenni di tagli e di trascuratezza si troveranno e nuovi mezzi stanno arrivando alle truppe, compresa una versione ammodernata e ancora più micidiale dell’immortale AK47, oggi AK47S. Si sente parlare di 738 miliardi di dollari investiti in riarmo russo nei prossimi 10 anni e se è vero che le armi non uccidono da sole, è ancora più vero che tutte le nuove armi introdotte negli arsenali sono state prima o poi adoperate, la bomba atomica inclusa.
Un giorno, speriamo vicino, guarderemo con incredulità a questa nuova mini marcia della follia, cominciata attorno a territori che dovrebbero apparire insignificanti nel nuovo ordine mondiale. Non ci parrà possibile che, 70 anni dopo la fine della più mortifera guerra nella storia dell’umanità, ancora si possa pensare di morire per Donetsk, come gli alpini dell’Armir mussoliniana e riconoscere che stiamo soltanto dando parole alle paure. Poi uno si ricorda che la guerra nel Pacifico scoppiò attorno all’occupazione giapponese della Manciuria e alle sanzioni imposte degli americani e allora ha, appunto, paura.
Vittorio Zucconi, la Repubblica 7/2/2015