Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 7/2/2015, 7 febbraio 2015
VENDUTO A 22 MLN DI $ UN QUADRO DI CRISTOPHER WOOL. IL TITOLO È FOOL SI PUÒ TRADURRE COME VERBO (IMBROGLIARE) O COME SOSTANTIVO (FESSO)
Eccoci all’appuntamento del sabato, quando riporto gli scheletri di camei che avrebbero potuto nascere, andare per il mondo, invece l’autore (io) ha scelto, con sofferenza, di farli abortire.
1. L’idea era di ragionare sul perché alla Presidenza Scalfaro (la più imbarazzante della storia della Repubblica), siano succedute due Presidenze «borboniche», Napolitano, napoletano, Mattarella, palermitano. Borboniche nel senso nobile del termine (confesso che agli ignoranti Savoia - la Novara di Scalfaro era sabauda - ho sempre preferito i più raffinati Borboni). Ricordo Ferdinando che, all’inizio, regnò come Ferdinando IV, re di Napoli, e come Ferdinando III, re di Sicilia, poi, dal 1816, unificando le due poltrone, come Ferdinando I, re delle due Sicilie. Mi sarebbe piaciuto ragionare su un’ipotesi radicale di semplificazione della governance nostrana, sulla base di tale schema. Visto che Renzi non è mai stato eletto dal popolo, mentre Mattarella ha avuto una votazione plebiscitaria, mi chiesi, si potrebbero unificare le due cariche? Chi dei due buttare dalla torre, fra Mattarella e Renzi, risparmiando così uno stipendio, un’auto blu e un aereo blu? Amici renziani hanno reagito malamente, allora ho fatto abortire il cameo, nascondendomi dietro il vile «era solo una provocazione intellettuale».
2. Ho una fissazione (ci ho pure scritto un pamphlet «A NY alla ricerca di segnali deboli», Amazon): c’è un fil rouge che unisce «finanza», «alta cucina», «arte contemporanea». Ne ho avuto conferma nel clamoroso fallimento dell’ultima asta di arte antica da Christie’s (NY), dove su 54 dipinti offerti, 32 non hanno trovato compratori, tra i quali un Caravaggio («Il ragazzo che sbuccia la frutta»). Nella solitudine dei media, mi è venuto in aiuto il grande Francesco Bonami: ha fatto un parallelo fra questo evento (raro) e un pittore americano, Christopher Wool che negli ’80 dipingeva quadri con solo lettere maiuscole dell’alfabeto. Uno di questi è stato recentemente pagato 22 milioni di $. Con l’arte contemporanea «compriamo» il nostro presente, con l’arte antica «compriamo» la vita già vissuta da altri. Lo stesso vale per l’alta cucina, mangiamo senza aver più appetito, e allora siamo affascinati della bellezza del piatto, non certo dal sapore plastificato del cibo. Così per la finanza, perché FCA immersa nel presente vale appena 14 miliardi mentre Uber che vaga nel futuro 40? Il quadro di Wool è genialmente intitolato «Fool»: potete tradurlo come verbo (imbrogliare) o come sostantivo (fesso). Non merita un Cameo.
3. Mi sono chiesto: l’America ha ancora come «cibo di riferimento» l’’hamburger, così come la pizza per l’Europa, il kebab per il mondo musulmano? Sì, colà qualcosa si muove, in questo ammiro gli americani, abbattono i loro miti e li sostituiscono con altri, partendo da una «business idea» a volte rivoluzionaria. Mi chiedo: se fra 20 anni i miei nipoti andranno a vivere a NY, nei loro lunch non mangeranno più il «politicamente scorretto» hamburger, pieno di grassi e di ormoni (i titoli di McDonald’s sono in caduta), ma il «ramen», versione americana del piatto base della cucina giapponese povera. Nel classico brodo (dashi), gli altrettanto classici fiocchi di tonno essiccato sono stati sostituiti dal bacon affumicato del Tennessee, e qui vengono annegati i noodle. Questa del bacon autoctono è una mossa geniale, diventa così un cibo «americano di seconda generazione». Il ramen lo scoprii 40 anni fa in Giappone, 15 anni fa mangiai nel primo Momofuko Noodle Bar (171 1st Avenue, all’altezza della E 11th St), dove David Chang stava iniziando la sua rivoluzione, privilegiando il Pacifico all’Atlantico, inventandosi la cucina nippo-nippo-americana. Sarebbe un cambiamento culturale immenso per gli Stati Uniti, un femmineo brodino in luogo del maschio hamburger: la conferma del declino dell’Impero Breve americano. Da bambino, in Garfagnana, alla domenica mangiavo la minestra di farro, con una nuance di lardo per i poveri, una grassa cotenna per i ricchi. Nessuno, allora, pensò chiamarla «Garfagnana emmer soup», e farne una «app». Peccato.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 7/2/2015