Paolo Isotta, Corriere della Sera 7/2/2015, 7 febbraio 2015
Alla mia età sono giunto alla conclusione che di tutti il compositore più difficile per il direttore d’orchestra è Verdi
Alla mia età sono giunto alla conclusione che di tutti il compositore più difficile per il direttore d’orchestra è Verdi. Vieppiù oggi che si sono quasi perdute le tradizioni interpretative laddove le difficoltà concettuali e tecniche vengono addirittura ignorate dalle nuove leve di direttori. La premessa vale giacché uno dei concertatori da me più apprezzati è il trentaseienne Gaetano d’Espinosa, palermitano stato per qualche anno a capo, nella qualità di primo violino, della Staatskapelle di Dresda, una delle orchestre più importanti del mondo; ma da che ho visto d’Espinosa reggere un Rigoletto all’Opera di Roma («prima» mercoledì 4) questo ragazzo, ch’è anche un ottimo compositore, è salito ulteriormente nella mia stima, sì che posso affermare essere egli, dopo Riccardo Muti e Nello Santi, il miglior direttore verdiano vivente. Quella del Rigoletto è partitura raffinatissima; d’Espinosa, assai bene coadiuvato dal coro istruito da Roberto Gabbiani, ne manifesta con tecnica e intuizione superiori la natura cameristica, e meglio dirò quartettistica. La più truce delle Tragedie di Verdi procede siccome ragnatela rifacentesi al quartetto d’archi, di Haydn ancor più che di Beethoven. La leggerezza e l’intonazione dell’orchestra romana diretta da d’Espinosa sono straordinarie; il direttore possiede i tempi giusti e ha il senso del passo drammatico. Gli debbo però fare un grande rimprovero. Il protagonista George Petean fa certe volgarità da bassa provincia e d’Espinosa gliele consente: due per tutte: «È follia!» cantato fortissimo invece che piano ; il «Pietà» col quale si conclude l’invettiva contro i cortigiani in crescendo invece che sfumato. I cantanti sono una razza tale che le stesse cose vanno loro ripetute prima della recita ogni singola volta; un Giovanni Meoni che interpreta il protagonista nella seconda compagnia fa addirittura l’efferato Mi bemolle ne «Un vindice avrai»! Molto bene il giovane tenore Ivan Magri e Irina Lungu; a posto Carlo Cigni (Monterone è il personaggio più importante dell’Opera), Marco Spotti e Anna Malavasi. Al regista Leo Muscato ricordo che se Verdi avesse voluto attualizzare il Rigoletto non avrebbe nel I atto scritto un Minuetto e un Perigordino in stile barocco.