Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 07 Sabato calendario

Alla mia età sono giunto alla conclusione che di tutti il compositore più difficile per il direttore d’orchestra è Verdi

Alla mia età sono giunto alla conclusione che di tutti il compositore più difficile per il direttore d’orchestra è Verdi. Vieppiù oggi che si sono quasi perdute le tradizioni interpretative laddove le difficoltà concettuali e tecniche vengono addirittura ignorate dalle nuove leve di direttori. La premessa vale giacché uno dei concertatori da me più apprezzati è il trentaseienne Gaetano d’Espinosa, palermitano stato per qualche anno a capo, nella qualità di primo violino, della Staatskapelle di Dresda, una delle orchestre più importanti del mondo; ma da che ho visto d’Espinosa reggere un Rigoletto all’Opera di Roma («prima» mercoledì 4) questo ragazzo, ch’è anche un ottimo compositore, è salito ulteriormente nella mia stima, sì che posso affermare essere egli, dopo Riccardo Muti e Nello Santi, il miglior direttore verdiano vivente. Quella del Rigoletto è partitura raffinatissima; d’Espinosa, assai bene coadiuvato dal coro istruito da Roberto Gabbiani, ne manifesta con tecnica e intuizione superiori la natura cameristica, e meglio dirò quartettistica. La più truce delle Tragedie di Verdi procede siccome ragnatela rifacentesi al quartetto d’archi, di Haydn ancor più che di Beethoven. La leggerezza e l’intonazione dell’orchestra romana diretta da d’Espinosa sono straordinarie; il direttore possiede i tempi giusti e ha il senso del passo drammatico. Gli debbo però fare un grande rimprovero. Il protagonista George Petean fa certe volgarità da bassa provincia e d’Espinosa gliele consente: due per tutte: «È follia!» cantato fortissimo invece che piano ; il «Pietà» col quale si conclude l’invettiva contro i cortigiani in crescendo invece che sfumato. I cantanti sono una razza tale che le stesse cose vanno loro ripetute prima della recita ogni singola volta; un Giovanni Meoni che interpreta il protagonista nella seconda compagnia fa addirittura l’efferato Mi bemolle ne «Un vindice avrai»! Molto bene il giovane tenore Ivan Magri e Irina Lungu; a posto Carlo Cigni (Monterone è il personaggio più importante dell’Opera), Marco Spotti e Anna Malavasi. Al regista Leo Muscato ricordo che se Verdi avesse voluto attualizzare il Rigoletto non avrebbe nel I atto scritto un Minuetto e un Perigordino in stile barocco.