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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

NAPOLEONE E UN’IMPOSSIBILE MAPPA D’ITALIA


Napoleone Bonaparte, sulle colline intorno a Tolone assediata, 1793, detta le sue regole di guerra a un giovanissimo cartografo, Serge Victor. Più tardi gli ordinerà di redigere una mappa dell’Italia conquistata, «la mappa delle mappe».
Sulle prime, si è portati a pensare che il geografo sia ispirato alla figura di Louis Bacler d’Albe, che seguì il generale corso nelle sue scorribande a ferro e fuoco. Ma è solo il primo degli inganni o, se vogliamo, dei colpi di scena che Vittorio Giacopini imbastisce nel suo nuovo romanzo, La Mappa (Il Saggiatore, pp. 320, euro 16). Il libro rappresenta in qualche modo il secondo tassello, dopo il precedente Nello specchio di Cagliostro, di un immaginario puzzle con il quale lo scrittore romano rivisita certe figure e certi misteri (e forse anche certi Miti) della nostra storia meno recente.
Il cartografo non sa che quella sfida, quel compito, lo porteranno ben oltre la sua stessa immaginazione; scoprirà le gioie e i dolori dell’amore, la vera faccia della guerra, l’ambiguità del potere, il sapore del tradimento e quanto lunga, bizzarra, impensabile può essere una vita. Ma il maggior disinganno contro cui si scontra Serge è che non esiste una «mappa perfetta», se non altro perché, in quanto imitatrice della realtà, una realtà per definizione corrotta, la mappa non può che essere anch’essa fallace. O meglio: la metafora di un clamoroso abbaglio.
Il cartografo ambisce a mettere ordine in un paesaggio disordinato e imprendibile, e soccombe. Attraverso Serge è ovvio che assistiamo al crollo delle certezze dell’Età dei Lumi; vediamo l’Uomo spingere la punta del piede nel primo antro oscuro dell’età moderna, non a caso, intruppato nella follia imperialista del Bonaparte, che con le sue megalomanie, le sue visioni oracolari, le sue razzie di ricchezze altrui, sembra mettere in scena, in Europa, la lugubre ouverture della futura tragedia hitleriana.
La bellezza del romanzo di Giacopini è la forza a tratti cinematografica (si veda la narrazione dell’incendio di Mosca, per esempio) e insieme piacevolmente lenta, dettagliata, con cui la Storia entra nella saga picaresca di Serge Victor. Immaginate un Barry Lyndon diretto, invece che da Kubrick, da Sergio Leone.