Loretta Napoleoni, il Venerdì 6/2/2015, 6 febbraio 2015
LE REGOLE DELL’ECONOMIA DI GUERRA GLOBALIZZATA
È quel che si domandano in molti. C’è anche chi è convinto che l’Arabia Saudita si rifiuti di ridurre la produzione per spingere il costo dell’oro nero verso il basso non solo per mandare in bancarotta l’industria del fracking nord americana ma anche per danneggiare le finanze del vicino Califfato. In fondo una buona percentuale delle entrare dell’Is derivano dal contrabbando di petrolio siriano in Turchia e nel sud della Siria, regione ancora fermamente nelle mani del regime di Assad.
Ebbene non è così, la caduta del prezzo del petrolio non ha nessun impatto su quello applicato al mercato nero siriano o iracheno, in altre parole il prezzo del petrolio contrabbandato dall’Is è legato a domanda e offerta locale e non a quella globale. Chi lo compra lo fa perché non ha alternativa e non può accedere a nessun altro mercato. Bisogna capire che il contrabbando da parte dell’Is avviene in zone di guerra, controllate dai signori della guerra, dai gruppi armati. In queste aree spesso il contrabbando diventa l’unica fonte di sussistenza per la popolazione. E il valore monetario dei beni dipende dalla facilità con cui si riesce ad averli. Questo spiega perché il costo della penicillina ad Aleppo è 100 volte più alto che ad Istanbul, dove si può acquistarla in qualsiasi farmacia.
Una riflessione viene spontanea: l’economia di guerra è uno dei pochi settori dove la globalizzazione non condiziona l’economia locale. Anche se è possibile seguire la discesa del prezzo del petrolio su Bloomberg dal proprio telefonino nel bel mezzo di una battaglia, queste informazioni appartengono a un mondo diverso, quasi un altro pianeta.