Raimondo Bultrini, il Venerdì 6/2/2015, 6 febbraio 2015
IL DILEMMA THAI DELLA BELLA YINGLUCK CHE RISCHIA 10 ANNI
Un’altra figura della famiglia un tempo più influente della Thailandia è giunta alla fine del tragitto politico permesso a chi sfida il gotha militare e aristocratico dell’antico Regno un tempo chiamato Siam. Yingluck Shinawatra, la ex premier 47enne deposta a maggio da un golpe dopo quasi tre anni al potere, è stata messa sotto accusa con un impeachment postumo. Infatti già da nove mesi ha dovuto lasciare obtorto collo la poltrona a un ex generale che sembra intenzionato a eliminare ogni traccia del vecchio clan di origini cinesi dal suolo thai.
Il voto dell’Assemblea nazionale nominata dall’esercito e dall’élite dei democratici – vicini al re – è stato pressoché unanime. La accusano di aver perso – tra l’altro – miliardi di fondi pubblici per pagare ai contadini suoi elettori i raccolti di riso a prezzi superiori al mercato, con sospetti di corruzione dei ministri e suoi personali. Ma poche ore prima del voto di impeachment, con il divieto di fare politica per 5 anni, la Procura ha annunciato anche l’intenzione di incriminarla per inosservanza dei doveri d’ufficio nello scandalo del riso, col rischio di passare 10 anni in una cella. Cosa farà allora Yingluck?
Il primo della famiglia Shinawatra a dover abbandonare di punto in bianco il potente incarico di premier della Thailandia e il Paese stesso, era stato lo zio di Yingluck, il celebre Berlusconi dell’Asia al secolo Thaksin, un ex poliziotto che prima di scendere in campo aveva fatto miliardi coi computer e le telecomunicazioni. Il regno di Thaksin, iniziato nel 2001, durò sei anni prima del golpe che lo estromise, costringendolo a un esilio che dura ancora oggi tra i grattacieli di Dubai. Finora però – grazie alla base elettorale del Nordest – si erano succeduti governi retti da uomini di fiducia e parenti stretti, tutti eliminati da rivolte o colpi di Stato militari, buona ultima la bella figlia di sua sorella, Yingluck.
Il potere del clan è stato così vasto da cambiare il corso dell’economia nazionale, con schemi popolari di prestiti facili, di sanità a prezzi irrisori e di finanziamenti ai villaggi dell’Isaan, eredi poveri di dominii feudali delle famiglie influenti, proprietarie o concessionarie delle terre da generazioni. La discesa in campo dello Shinawatra N. 1 – «sono ricco di mio» diceva Thaksin», non mi possono corrompere» – venne salutata da molti come un buon vento per il Paese, e per la prima volta, attraverso elezioni più o meno democratiche, crebbe la speranza di riscatto per masse di contadini e lavoratori a basso reddito sfruttati dall’élite di Bangkok.
L’altro volto del tycoon populista emerse durante vari scandali. Alla fine del 2013, sotto il pugno più morbido della sorella di Thaksin, il governo – che aveva perso 4 miliardi di dollari con il riso – tentò nottetempo di far passare una mega amnistia per i corrotti con in testi» Thaksin. Le strade di Bangkok si riempirono di manifestanti filorealisti che chiedevano la destituzione di Yingluck, e i soldati attesero, per intervenire, le sanguinose incursioni dei militanti delle «Camicie rosse» fedeli a Thaksin contro gli accampamenti dei rivoltosi.
Dal giorno della legge marziale tutto appare quieto, anche se in Thailandia il risentimento può covare per anni e poi riesplodere. Da 60 anni il popolo conti» sul re 86enne Bhumibol per salvare il Paese dal baratro della guerra civile. Ma la sua salute è cagionevole, e il principe della Corona è stato finora seria fonte di guai, oltre a flirtare con l’odiato Thaksin. Da qui i timori di una transizione ingovernabile senza l’esercito, con le speranze di futura pace sociale affidate alla nuova Costituzione in corso di stesura, che toglie l’obbligo di appartenenza dei candidati premier a un partito politico. Forse aprirà almeno le porte a un’alternativa al duopolio Shinawatra-filorealisti.