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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

IL CROLLO DEL PETROLIO INNESCA I PRIMI DEFAULT NEL SETTORE

Per gli avventurieri del petrolio sta arrivando il redde rationem. Una serie di piccole società che avevano finanziato le loro attività estrattive con montagne di debito è già finita in default o comunque è molto vicina ad alzare bandiera bianca, ammettendo di non essere in grado di onorare il pagamento degli interessi o di rimborsare un debito.
Finora l’unico nome di un certo rilievo a trovarsi in queste condizioni è Afren, una compagnia quotata a Londra, con asset concentrati soprattutto in Nigeria, di cui le maggiori agenzie di rating hanno previsto un «default imminente». Le altre sono piccole società, poco conosciute ai non addetti ai lavori, e lontane dalle cronache internazionali, distratte in questo periodo dalla pubblicazione dei bilanci delle major e dalle estreme oscillazioni di prezzo sul mercato del petrolio, ormai campo di battaglia tra speculatori:?la volatilità, misurata dal Cboe Crude Oil Volatility Index, è ai massimi da aprile 2009 e ieri c’è stata una nuova violenta virata al rialzo, che ha spinto il Brent a 56,57 dollari al barile (+4,5%) e il Wti a 50,48 (+4,2%).
La fine del ciclo negativo appare comunque lontana e i ribassi degli ultimi mesi, che hanno più che dimezzato il prezzo del petrolio, hanno messo in serie difficoltà persino i colossi del settore. Per le società più piccole e finanziariamente fragili le cose si stanno mettendo davvero male.
Dopo la bancarotta della texana Wbh Energy, il primo tra gli operatori dello shale oil, questo mese hanno dichiarato fallimento anche due società canadesi: la Southern Pacific Resource, attiva nelle sabbie bituminose dell’Alberta, e la Gasfrac, proprietaria di un brevetto su una tecnologia per fare fracking senz’acqua, protgonista pochi anni fa di performance di borsa strepitose (il suo titolo si apprezzò del 180% nei sette mesi successivi al collocamento nel 2010). Sempre in Canada un’altra società di oil sands, Laricina Energy, ha appena fatto default su un debito, mentre Connacher Oil & Gas si è messa in vendita, mentre cerca disperatamente di ristrutturare il debito, ammettendo gravi problemi di liquidità. Dopo un default è intanto riuscita a trovare un acquirente la statunitense Lucas Energy, che opera nello shale oil di Eagle Ford in Texas ed è quotata al Nyse: c’è un memorandum di intesa con Victoria Energy, che dovrebbe aiutarla a trovare 20 milioni di dollari. In precedenza negli Usa c’è stato il default di Endeavour International, l’unico per ora tra le società energetiche sottoposte al rating di Standard & Poors’, che ovviamente l’aveva già classificata da tempo a livello «spazzatura».
È?probabile che il suo caso non rimarrà a lungo isolato. Nel comparto high yield, quello delle società a rischio insolvenza, la stessa S&P ha declassato da ottobre ben 19 società energetiche Usa. Otto di queste sono sprofondate ulteriormente nella categoria “junk”: un percorso che ha come destinazione finale la bancarotta. La britannica Afren i gradini di questa scala li ha già scesi quasi tutti: un paio di giorni fa S&P ha abbassato il suo rating a SD, ossia “Selective Default”, quello in cui ci sono già alcune obbligazioni non rimborsate alla scadenza. Di peggio c’è solo il rating D, assegnato in caso di completa insolvenza.
Ubs prevede che i default saranno all’ordine del giorno, se il petrolio non si risolleva: nei prossimi 12 mesi rischia di non essere rimborsato il 15% dei junk bond energetici Usa o addirittura il 25% se ci sarà una generale stretta creditizia.
Deutsche Bank lo scorso novembre aveva fatto previsioni ancora più pessimiste: se il petrolio fosse sceso sotto 60 $ (cosa che si è puntualmente verificata) il tasso di default tra le società con rating tra B e CCC sarebbe potuto salire al 30%, con ripercussioni a catena su tutto il comparto high yield e forse anche oltre.
.@SissiBellomo
Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 6/2/2015