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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

IL SALTO NEL VUOTO

Questo non è solo uno scontro tra Grecia ed Europa. Tra Atene e Berlino. Questa è una guerra tra due concezioni opposte di Europa: quella dei tecnici e dell’austerità a tutti i costi, contro quella dei popoli e del pragmatismo sul problema comune del debito. Il movimento erratico dei mercati finanziari dimostra cosa gli investitori globali pensino: sono convinti che alla fine le due anime europee troveranno un compromesso, ma temono sempre più che lo scenario «estremo» (cioè l’uscita della Grecia dall’euro) possa concretizzarsi.
La battaglia deve concludersi in fretta: non solo perché la Grecia ha sempre meno liquidità in cassa, ma soprattutto perché la fuga di capitali potrebbe stecchire Atene prima ancora che il compromesso venga trovato. L’Europa, questa volta, dovrà prendere una decisione. Dovrà guardarsi allo specchio, con tutte le sue diverse anime, e stabilire cosa vuole diventare.
Che Atene abbia le settimane contate, per la furia di mercati finanziari, si vede nei numeri. La paura che il Paese sia costretto ad uscire dall’euro in maniera disordinata ha già causato una fuga di depositi dalle banche elleniche: non esistono dati ufficiali sul 2015, ma si stima che solo a gennaio siano scappati 10-12 miliardi di euro dai conti correnti (8% del totale) dopo i 4,5 miliardi persi a dicembre. È chiaro perché questo accada: nel timore che i depositi bancari vengano un giorno ridenominati in dracme, i greci cercano di portare i risparmi in Paesi sicuri (con valute forti). Così facendo, però, condannano le banche alla crisi di liquidità e, dunque, al crack. Gli istituti ellenici hanno ancora accesso alla “flebo” d’emergenza della Bce (Ela), ma presto anche quest’ultimo aiuto potrebbe venire meno.
Il timore dell’uscita dall’euro ha già avuto anche un’altra conseguenza: la fuga degli investitori dai titoli di Stato. La sola eventualità che vengano ridenominati in dracme ha fatto balzare il rendimento dei titoli triennali fino a un massimo del 18,8% ieri: segno che nessuno è più disposto a prestare soldi ad Atene, se non per scadenze brevissime o per interessi elevatissimi. Se le turbolenze sui mercati sfiorano soltanto il resto d’Europa (Italia inclusa), è perché gli altri Paesi sono protetti dallo «scudo» della Bce: a parte qualche oscillazione di Borsa, non si vede dunque alcun vero contagio finanziario come accaduto nel 2012.
Ma sarebbe sbagliato pensare che il problema greco sia lontano. E che sia solo ellenico. Non è questa la posta in palio. Il caso di Atene è infatti solo la punta dell’iceberg di un problema molto più grande, che coinvolge tanti Stati: quello dell’eccesso di debito. Calcola McKinsey che a livello mondiale dal 2007 ad oggi il debito pubblico sia aumentato di 25mila miliardi di dollari e quello totale (anche privato) di 57mila miliardi. Il punto è che questi numeri sono destinati a crescere almeno nei prossimi 5 anni in molti stati europei (e non solo). Per fermare questa continua lievitazione - calcola McKinsey - tutti questi Paesi dovrebbero ridurre così tanto il deficit primario di bilancio che si condannerebbero a un’austerità (dunque a una recessione) ancora più forte.
Ecco perché Atene non è più un caso isolato: perché il problema dell’eccesso di debito è comune a molti Stati. McKinsey suggerisce, nel suo studio, di ridurlo con un mix di interventi. Tra questi, la ristrutturazione. Il governo greco, in fondo, proprio questo chiede: ridurre gli obiettivi di deficit e sostituire il debito con titoli legati al Pil. È vero che una concessione del genere andrebbe affiancata a riforme strutturali serie e che probabilmente questo non risolverebbe i problemi ellenici, ma almeno lancerebbe un messaggio a tutta Europa: che alla totale austerità esiste un’alternativa. Prima del salto nel vuoto.
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 6/2/2015