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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

PERISCOPIO

«Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che, negli uffici pubblici e nelle istituzioni, possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani». Sergio Mattarella. Discorso di insediamento come presidente della repubblica.

(mfimage) Ho conosciuto Sergio Mattarella ai funerali del fratello, 35 anni fa. Lui era un giovane docente di diritto, io un giovane magistrato. Se oggi siamo entrambi qui, lui capo dello Stato, io presidente del Senato, vuol dire che la mafia non ha vinto. E non vincerà. Pietro Grasso, presidente del Senato. Agenzie.

Mattarella, nel suo discorso, nomina gli italiani all’estero e si leva in piedi la destra, cita gli immigrati e si alza la sinistra; la destra si scalda per i marò, la sinistra per i cooperanti; la famiglia è rivendicata a destra, la lotta per l’evasione e l’impegno per la pace a sinistra; la «libertà nella sfera affettiva» anima più che altro il sottosegretario Scalfarotto che lavora alla legge sulle unioni civili; «l’autonomia e il pluralismo dell’informazione» è tra i pochi messaggi a cadere nel vuoto; l’elogio dei «giovani parlamentari» e della loro «capacità di critica e persino di indignazione» scioglie i grillini, apparsi comunque non ostili. Tutti applaudono i riferimenti a Papa Francesco, Ciampi e Napolitano, che si alza a ringraziare. Aldo Cazzullo, Corsera.

Non ho mai pensato che Craxi fosse Garibaldi, Berlusconi uno stinco di santo e Renzi uno esente da terribili difetti. Però mi piace la leadership che agisce, che incide, la spregiudicatezza, la menzogna swiftiana. L’Italia si costruisce dal connubbio tra Cavour e Rattazzi, il fascismo firma il Concordato, la Repubblica nasce sotto l’egida di Togliatti, c’è stato il compromesso storico, che ha dato anche i suoi frutti positivi, sconfiggendo il terrorismo. La politica è questo: patti, compromessi, spregiudicatezza nella cornice di una visione. Il patto de Nazareno fa parte di tutto ciò. Giuliano Ferrara. Il Foglio.

Inquadrando il personaggio Renzi con l’obiettivo del pubblicitario, ho la sensazione che Renzi dia l’impressione di voler vendere Renzi. È come se fosse diventato una marca, un brand. E lui, consapevolmente, sta calcando la mano per sottolineare questo aspetto. Il camminare impettito, il parlare con la boccuccia, la camicia senza la cravatta. Diciamo che quella è la sua scatola. Però, attenzione, la scatola non basta, perché dietro ogni marchio ci deve essere un valore. Gavino Sanna, pubblicitario. Il Giornale (Gabriele Villa).

Fanculo lo sdegno, siamo in guerra, andiamo al sodo. Cazzo, non si lasciano in circolazione due fratelli abbandonati dai genitori in tenera età, dagli amici imbotti- ti di droga e da osceni padrini di sanguinari precetti, due ragazzi accecati dall’odio e determinati a vendicare l’onore offeso del Padre Maometto. Non li si lascia in giro per più di dieci anni ad allenare i muscoli e il rancore, raccattando per strada un tipo che ha una fidanzata piuttosto carina ma delle idee molto confuse, e che ammazzerà un po’ di ebrei tanto per fare anche lui qualcosa. Umberto Silva, psicanalista. Il Foglio.

Siamo colleghi, io e Giorgio Armani. Abbiamo cominciato nello stesso modo: lui, aiuto vetrinista, io, allievo al corso serale che il professor Brambilla (ho dimenticato il nome) teneva a Bergamo per preparare a questo mestiere. Armani alla Rinascente di Milano, io in giro ad allestire le vetrine di vari negozi della mia città. Un’arte che m’è servita tantissimo, da giornalista, nel preparare le prime pagine: devi valorizzare la merce, non affastellarla, capire quale va esposta in alto e quale in basso, assecondare il gusto dei lettori. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

Ho preso il cognome di mia mamma, Molara Ricciarelli, toscana di Rosignano. Sposò Mariano Pepi, che andò a farsi accoppare in Russia come volontario con l’Armir, lasciandola da sola con Maria Luisa e Anna, le mie sorelle. Dovette emigrare in Germania. Raccoglieva patate. Conobbe un veneto che la mise incinta e le promise di sposarla. Invece, tornati in Italia, ad attenderlo alla stazione di Rovigo c’erano moglie e figlio. Mia madre non ha mai voluto farmelo conoscere. L’unico ricordo che ho di lui è una foto che mi fu scattata da quindicenne mentre cantavo in sanatorio per un’iniziativa benefica del Comune di Rovigo: vi era ritratto un uomo emaciato, steso nel letto. Mio padre. Katia Ricciarelli (Stefano Lorenzetto). Panorama.

Passano i tram, sui binari lucenti, gialli di luce, affollati di gente stretta nei cappotti bagnati. Alla fermata sbuffano, e tirano giù, sgarbati, il predellino. Da fuori, il conducente è solo un’ombra scura dietro ai tergicristalli monotoni. Che ci affanniamo a fare tutti, in questa luce livida, in questa mattina arcigna, e dove corriamo? Code infinite dall’hinterland, e sulla tangenziale: ognuno è costretto ad andare altrove, e a ritornare sempre allo stesso punto, la sera. Sotto alla pioggia, che si è fatta battente, il dubbio che sia una fatica di Sisifo, che ricomincia invano, sempre da capo. Insomma, ti domandi, giriamo in tondo, o andiamo verso qualcosa? Dietro alle finestre di una scuola ancora le sagome incollate degli angeli di Natale; e immagini i bambini chini sui quaderni, le pagine bianche che in questa luce si fanno grigie, mentre oltre ai vetri c’è solo acqua, e cielo incolore. (Andiamo, dunque, verso dove?). Marina Corradi. Tempi.

Qualche mese fa ho perso il mio compagno K. S. Karol. Per una donna come me, che ha avuto la fortuna di vivere anni interessanti, l’amore è stata un’esperienza particolare. Non avevo modelli. Non mi ero consegnata alle aspirazioni delle zie e della mamma. Non volevo essere come loro. Con Karol siamo stati assieme a lungo. Io a Roma e lui a Parigi. Poi ci siamo riuniti. Quando ha perso la vista mi sono trasferita definitivamente a Parigi. Siamo diventati come due vecchi coniugi con il loro alfabeto privato. Rossana Rossanda, fondatrice del Manifesto (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Si deve migliorare la condizione della donna: ingrandite le cucine, abbassate i lavelli e isolate meglio i manici delle pentole. Dario Vergassola, (Francesco Chiamulera). Il Fatto.

Davanti alla mia Olivetti Lettera 22. Ogni parola è una piccola conquista. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 5/2/2015