Tino Oldani, ItaliaOggi 5/2/2015, 5 febbraio 2015
È INIZIATO IL FUNERALE DELL’ODIATA TROIKA (BCE, UE, FMI) MA IL MERITO È DI JEAN CLAUDE JUNCKER, NON DI TSIPRAS
È iniziato il funerale della Troika, e questa sì è una bella notizia. I giornaloni dicono che a metterla fuori gioco è stata l’iniziativa del nuovo governo greco, guidato dall’estremista rosso Alexis Tsipras, che non vuole più vedere in Grecia gli ispettori delle tre istituzioni che formano la Troika (Bce, Ue, Fmi). Ma questa è solo l’ultima tessera di un mosaico politico più ampio. A ben vedere, l’agonia della Troika è iniziata un anno fa, quando il 15 gennaio 2014 il Parlamento europeo decise di aprire un’indagine sull’operato della Troika in Grecia con la seguente motivazione: «Vi è la necessità di valutare in modo trasparente e democratico se il suo sia stato il metodo d’azione migliore».
Degli sviluppi di quell’inchiesta non si seppe poi molto, anche perché l’attenzione si concentrò soprattutto sulle elezioni del nuovo Parlamento europeo, avvenute in maggio. A luglio, però, il tema tornò a galla, quando il presidente designato della nuova Commissione Ue, Jean Claude Juncker, dichiarò a sorpresa: «Dobbiamo ripensare il modello delle ispezioni in Grecia, riorganizzandole con criteri e uomini più democratici e legittimi». Una dichiarazione bomba sul piano politico, che però passò quasi inosservata, benché ammettesse ciò che molti critici sostenevano da tempo: ovvero che la Troika era una organismo non legittimato da un’elezione, dunque non democratico, eppure dotato di poteri enormi, superiori a quelli dei governi a cui faceva le pulci, tanto da esautorarli completamente.
A luglio 2014, l’avvento di Tsipras sulla scena europea era di là da venire, e non poteva certamente influire su Juncker, che tra l’altro non è un estremista di sinistra, ma un esponente di primo piano del Partito popolare europeo, lo stesso della cancelliera Angela Merkel. Dunque uno degli artefici della Troika, ma anche il suo primo killer. Paradossalmente, lo stesso si può dire di Mario Monti, che era premier in Italia quando nel 2012 fu approvata dal Parlamento una modifica al trattato di Lisbona, per introdurvi la nascita dell’Esm (meccanismo europeo di stabilità), noto come Fondo salva-Stati. Fu allora che nacque la Troika, poiché si stabilì che a gestire il Fondo salva-Stati dovevano provvedere congiuntamente la Commissione Ue, la Bce e il Fmi, scavalcando i governi nazionali che avessero chiesto aiuto per fare fronte alla crisi del debito sovrano.
Incredibile a dirsi, lo stesso Monti che indusse il Parlamento italiano a votare a larghissima maggioranza per il Fondo salva-Stati, cioè per la Troika, se n’è poi pentito. Tanto che in un saggio successivo («Le parole e i fatti»; Rizzoli) ha scritto che «la Troika è una presenza molto intrusiva, di fatto una cessione di sovranità asimmetrica. È qualcosa che va al di là di quella cessione di sovranità che tutti, misuratamente e simmetricamente, accettiamo per contribuire all’integrazione europea». In pratica, l’ammissione che cedere sovranità alla Troika, senza limiti, significa uscire dal solco della democrazia, e affidare il governo di un Paese a tecnocrati mai eletti da nessuno.
Anche ItaliaOggi, con i suoi opinionisti, ha il merito di avere sostenuto questa tesi più volte. Un mio articolo del luglio scorso (ripubblicato in “Svegliati Italia!”; youcanprint) faceva notare l’assurdità normativa del Fondo salva-Stati, per cui i suoi dirigenti e i suoi beni godono di una totale immunità giuridica. Se sbagliano, come è avvenuto per loro ammissione, nessuno li può chiamare in giudizio per risponderne. Il che costituisce un’evidente anomalia, se si considera che in tutti i Paesi europei anche i governanti possono essere citati in giudizio per atti compiuti in violazione delle leggi.
Come ricordava ieri la Repubblica, il capo dei funzionari della Troika, Poul Thomsen, danese del Fmi, nel 2014 ha tranquillamente ammesso: «Scusate, i nostri calcoli erano sbagliati. Abbiamo usato moltiplicatori scorretti. Non avevamo previsto che l’austerità avrebbe abbattuto i consumi e mandato a picco il pil». Errori marchiani, essendo evidente che imporre l’austerità a un’economia in recessione provoca un peggioramento, anziché la ripresa. Eppure, nonostante fossero consapevoli degli errori, i funzionari della Troika hanno continuato a imporre cure da cavallo in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro.
Risultato: in diversi Paesi sono sorti i partiti anti-Troika, che in breve tempo sono diventati maggioritari (Spagna, Francia, Irlanda). In Grecia sono addirittura saliti al governo. Una deriva pericolosa per la stabilità dell’euro, che neppure la leadership forte di Angela Merkel sembra in grado di fermare. Così, ecco il tentativo graduale di arginarla con lo scioglimento tacito della Troika, a cui ha dato il via lo stesso Juncker (e non Tsipras). Il passo successivo, a quanto si dice, sarà il ritiro della Bce di Mario Draghi, che con il quantitative easing non può più essere nello stesso tempo prestatore di liquidità alle banche e loro controllore con la Vigilanza. Anche il Fmi farà altrettanto, lasciando alla Commissione Ue il compito di finanziare e controllare i Paesi in crisi. Se sarà così, la morte della Troika segnerà un ritorno alla democrazia, senza rimpianti.
Tino Oldani, ItaliaOggi 5/2/2015