Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/2/2015, 6 febbraio 2015
PERISCOPIO
Tsipras ha ricevuto i complimenti di Salvini, Le Pen e Putin. A questo punto, glieli faccia anche Bertinotti. Edelman. Il Fatto.
Nel paniere dell’Istat entra la birra analcolica. Allora la deflazione ve la meritate. MF.
Luigi De Magistris si raccontava così: «Sono una persona con una forte carica carismatica e dotato di un certo fascino. Sono in grado di trascinare la gente anche in ambienti non facili. Da ragazzo era più facile: «Chillu è ’nu caporione». Ma a me è successo da grande, nella magistratura a Napoli e in politica. Ho compreso che ho la capacità di coinvolgere fortemente». Giampaolo Pansa, Tipi sinistri. Rizzoli
Ingroia non è, ahi lui, un mostro di cordialità. Parlo da telespettatore. Ha l’aspetto polveroso e il tono beffardo. Fa le pulci a tutti e denigra, utilizzando conoscenze che gli derivano dalle inchieste («Dell’Utri non dice tutto quello che sa»), senza un briciolo di riservatezza. Si crede l’incarnazione della moralità al punto che ti viene da gridare al teleschermo: «Ma ci faccia il piacere». In effetti, Ingroia è la quintessenza dell’opaco. Soffermiamoci sulla sua candidatura. Aveva appena assunto un impegno in Guatemala per conto dell’Onu. Doveva durare un anno, lo ha abbandonato dopo un mese. Una mancanza di serietà che la dice lunga sull’affidabilità del personaggio e che si riverbera su tutti noi. Pare di sentirli guatemaltechi e onusiani all’unisono: «I soliti italiani che danno solo sòle». Giancarlo Perna. Libero.
«È indubbio che l’antiberlusconismo sia ancora oggi più diffuso tra gli elettori di centrosinistra di quanto l’antirenzismo sia diffuso tra gli elettori del centrodestra», dice Alessandra Ghisleri, sondaggista di Euromedia research. Marco Valerio Lo Prete. Il Foglio.
Ai miei tempi bisognava combattere il comunismo come il peggiore dei mali politici. Ne conoscevo i meccanismi, vi aderii e me ne distaccai prevedendone gli effetti. Del comunismo mi aveva sedotto l’idea che si potesse dominare la realtà con ogni mezzo, anche il più crudele, e, al tempo stesso, trasformare tutto questo in una grande utopia. C’era forse menzogna peggiore? Follia più grande? Delusione più cocente? Enzo Bettiza. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
La chiave di lettura per comprendere le reazioni dei carcerati che in Francia si passano di mano in mano il mio libro Le suicide français, «è mio padre che me l’ha data. Lui ha vissuto cinquant’anni in Algeria e parlava benissimo l’arabo (?) Mi ha sempre detto che gli arabi rispettano l’onore e il coraggio. Per loro, ciò che conta, prima di tutto, non sono le idee: è l’uomo (?). È ciò che i “preziosi ridicoli” che affollano i salotti televisivi, e che urlano quando una minima parola gli va di traverso, non capiranno mai». Eric Zemmour. Elèments.
I personaggi di Nel nome del figlio non riescono a liberarsi dalle loro gabbie, dal senso di superiorità sociale e culturale, dall’oppressione di una famiglia importante che li ha segnati, ma anche tenuti stretti fra loro. Un fratello immobiliarista che non ha potuto dare all’agenzia il cognome della famiglia, Pontecorvo, perché la madre si vergogna, sua sorella svagata e infelice, il marito di lei, professore twittarolo e migliore amico del fratello, e l’altro amico da sempre, musicista: tutti incapaci di separarsi come di capirsi e accettarsi, abituati a mantenere segreti e ad averli sotto gli occhi senza vederli. Francesca Archibugi (Annalena Benini). Il Foglio.
Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, è un uomo molto spiritoso. Sembra un ragionier Pinchetti qualunque e invece, al momento giusto, sa tirar fuori doti di comando sorprendenti. Fu Indro Montanelli il primo ad accorgersi che Albertini, dietro l’apparente remissività, celava un profilo da duro, di quelli che si spezzano ma non si piegano. «Mi ricorda Ribot, che, a prima vista, nessuno avrebbe dato come vincente, non avendo l’aspetto del grande galoppatore di classe», scrisse Indro di lui. Paragone calzante, lo dico da fantino di una qualche esperienza. Anche nel privato Albertini non smette mai di stupire. Sa imitare perfettamente chiunque. Una serata con lui è meglio di un invito a teatro. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.
Mi ha raccontato Mario Cervi che avendo chiesto a Indro Montanelli come comportarsi rispetto alla fatica letteraria non eccelsa di un collega, si sentì rispondere: «È un brutto libro. Se ne può parlare bene». Stenio Solinas. Il Foglio.
Prima dei ragazzi nucleari della romana via Panisperna, l’eponimo «panis et perna» era infatti quello latino di pane e prosciutto, che i frati della basilica di San Lorenzo distribuivano ai poveri della zona, e il topos si è confermato nella prassi e nella letteratura, col commendator Angeloni, alter ego gaddiano, che nel «Pasticciaccio» veniva proprio in questa via ad acquistare certi «presciutti» sopraffini. Ma a parte la storica vocazione norcina, il rione è sempre stato fortemente politicizzato. Monti è sempre stato rione di sinistra, ma mai gauchista, è sempre stato ferocemente borghese, e prima dalemiano, poi veltroniano, oggi renziano oltre che naturalmente napolitaniano. Ma il rione, come il suo macellaio-ideologo, si è sempre tenuto lontano da qualunque tentazione movimentista o benecomunista. Michele Masneri. Il Foglio.
Bisogna fare molta attenzione al suolo: un inciampo, un rumore, potrebbero essere fatali. Le mine anticarro non spaventano: occorrono 120 chilogrammi per farle saltare, e tale peso non è certo un privilegio dei guerrieri di questo fronte; ma le insidiose mine a Shrapnel, o antiuomo, esplodono anche sotto la zampetta di un gatto, e quando il dispositivo è a strappo, cioè a mezzo di uno spago perfettamente mimetizzato nella sabbia, la difesa è impossibile. Paolo Caccia Dominioni, El Alamein. Longanesi.
Ricordo una battuta di un cameriere del ristorante Giacomino. Erano gli ultimi anni del fascismo: uno zelante incomincia a protestare perché mosche fastidiose gli ronzano intorno. «Cameriere, è un’indecenza! Questo posto è pieno di mosche! Abbiamo fatto anche la guerra alle mosche!». E il cameriere: «Hann’ vinciut’ ’e mosche!» («Hanno vinto le mosche!»). La guerra alle mosche era uno dei vanti del fascismo. Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio.
Il mio slogan per Milano è: «Sveglia, sei Milano!». Lo dico pensando al patrimonio e alle energie che spesso nemmeno sappiamo esistono. Aldo Cernuto. Pubblicitario.
Porterò nell’aldidilà tutte le mie medicine, meno i sonniferi. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 6/2/2015