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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

TEPPANYAKI, IL RITO INTORNO ALLA GRIGLIA

Le piastre a 250 gradi, i rivoli di fumo densissimo risucchiati da cappe che sembrano vortici (perché senza una buona aerazione, la missione è impossibile), le spatole così taglienti capaci di sminuzzare e subito dopo raccogliere ordinatamene un filetto di kobe o di salmone (più il pesce è grasso, meno «asciuga» durante la cottura). Il «kitchen drama» — così lo definisce l’ Independent — che si consuma in una cucina teppanyaki è uno spettacolo che in Giappone ha una sua storia, ma non certo millenaria e «rallentata» dal copione del nemo propheta in patria . Pare sia stato un wrestler giapponese figlio di circensi ed emigrato in America ad imporre a New York il rito, snobbato in Giappone, di sedersi intorno alla griglia del suo «Benihana», oggi probabilmente la più grande catena teppanyaki con 79 ristoranti al mondo.
A metà tra uno showcooking (i procedimenti di cottura tengono incollati gli occhi dei clienti) e un kaiten-sushi, il celebre nastro (ci si siede tutti intorno allo stesso perimetro), il teppanyaki è un modo conviviale ed eccellente per condividere la tavola. Gli uomini d’affari spesso in giro per il mondo hanno una loro lista: il «Sen Nin» di Londra, il «Sazanka» di Amsterdam — costola del celebre stellato Yamazato —, l’«Omae XEX» di Tokyo o il «Wasabi» di Mumbai (dentro l’Hotel Taj Mahal), al 36° posto nella lista dei 50 Best India. Come è successo in America negli anni Sessanta, anche in Italia sono gli chef giapponesi a imporre il nuovo modo di mangiare all’orientale: a Milano, lo chef in odore di stella Michelin Wicky Prian aprirà la prossima settimana il suo nuovo ristorante «Wicky’s» a due passi dal Duomo puntando molto sul teppanyaki, ma tenendolo lontano dalla sala.«In cucina c’è un blocco per il teppanyaki, che però può essere visto attraverso il vetro». Tra i piatti in lista noodles, pesce, carne, verdure: a sorpresa una cena teppanyaki è anche economica (20 euro, mentre per la degustazione si arriva a 80 euro) e incontra anche i gusti della clientela matura, perché si tratta di cibi cotti leggeri.
Per Roberto Okabe, lo chef nippo-brasiliano che ha tagliato il traguardo dei 10 anni con il suo ristorante milanese Finger’s aperto con Clarence Seedorf, il teppanyaki è uno dei «piatti forti» del locale. Innovativo di natura (lo «Zen», il suo precedente locale, è stato il primo Kaitensushi d’Italia), Okabe ha trasportato in cucina le sue due anime: «Hardware giapponese, software brasiliano», come ama raccontarsi.
«Per un ottimo teppanyaki bisogna avere due attrezzi fondamentali: una piastra alta almeno 7 cm che raggiunga un calore di 250 gradi e una cappa potentissima, in grado di aspirare i vapori di cottura», spiega Okabe. Il valore aggiunto dei cibi cucinati nel «teppan» è quello di essere estremamente salutari. «Hanno un valore nutritivo superiore a cibi cucinati in altri modi perché la cottura trattiene tutte le proprietà: è un cotto-crudo», spiega Okabe che a dicembre ha aperto un ristorante Finger’s anche a Megéve, in Francia, proprio sulle piste da sci di Christomet, dove l’isola del teppanyaki è sempre prenotatissima.
Il metodo è salutare anche per i pochi grassi: si usa un filo d’olio d’oliva, e sempre con olio e Scottex viene pulita la piastra al termine della cottura. Storicamente basato su carne e verdure, il teppanyaki si presta anche a cotture di pesci e crostacei e avvalora la tesi di chi crede che sia nato, prima che altrove, a Kobe. Nella città affacciata sul mare, famosa nel mondo per la carne dei suoi wagy (bovini giapponesi), pare che agli inizi del XX secolo ci fosse l’usanza di arrostire il pesce appena pescato in «teppan» in piazza, per invogliare i clienti. «Il trucco — consiglia Okabe — è quello di procurarsi un pesce abbastanza consistente di modo che non si rompano le fibre durante la preparazione: perfetto il salmone, ma anche i calamari, le seppie, le aragoste, molluschi e il merluzzo nero leggermente affumicato. In Giappone, una cena o un pranzo finiscono quasi sempre con una ciotola di riso saltato o una zuppa calda».
Le porzioni sono sempre piccole, per dare la possibilità allo chef di maneggiare più agilmente il cibo e per rendere varia la degustazione. La ritualità dei gesti è molto importante per un maestro Teppanyaki: di solito prima di cucinare lo chef fa un inchino verso i commensali e brandisce la spatola come una spada. In alcuni casi ci sono giochi di fiamme, ma l’effetto è più raffinato di un flambé. Da Finger’s il compito è affidato a Susuki Masashi (foto a destra) , che diluisce il «teatro» tipico degli chef teppanyaki con una meticolosità chirurgica. «In Giappone l’uso delle mani è importantissimo — spiega Okabe, che già da piccolo desiderava imparare a fare il sushi perché lo vedeva cucinare dalla mamma Maria —. Ma per prepararlo devi aver lavorato almeno 10 anni... puoi toccare il pesce, lavare il riso ma non puoi fare sushi, una cosa quasi sacra».
Michela Proietti