Roberto Mussapi, Avvenire 6/2/2015, 6 febbraio 2015
MINUTO DI SILENZIO, IL TEMPO SOSPESO
È ancora impresso nella memoria il lungo minuto di silenzio quel giorno, in Francia; i tg di tutto il mondo trasmettevano un’improvvisa sospensione del traffico, delle voci nei caffè, nel metrò, di ogni voce. E poi, inconsciamente, salutando l’elezione del nuovo presidente della Repubblica italiana, vedendo in televisione il suo volto, sentendo il suo nome e rievocando, attraverso i filmati e la nostra memoria, l’assassinio di suo fratello, e poi Falcone, e poi Borsellino, la mia mente tornata a tanti minuti di silenzio della sua e nostra Sicilia e della sua e nostra Italia.
Ascoltando la radiocronaca del campionato di calcio, per associazione mentale, pensavo a tanti minuti di silenzio negli stadi, commemoranti campioni scomparsi o uomini rappresentativi dello sport. Continuo a preferire la radiocronaca alla visione televisiva in diretta, per quanto riguarda il campionato, perché la voce mi comunica azioni in assoluto, facendomi insomma immaginare, e questo fatto certo favorì l’improvvisa memoria dei tanti minuti di silenzio in cui la voce del telecronista e quelle della folla nello stadio, a un preciso segnale, tacevano. Quel minuto rappresenta un’interruzione simbolica del tempo, non comunica a mio parere un senso di paralisi ma di incantesimo, l’avvento del silenzio dell’origine, precedente il primo suono vitale, il rumore del primo respiro, o le esplosioni cosmiche che generarono anche la forma del nostro pianeta. «Il resto è silenzio», recita Amleto: il tumulto della vita, con il suo agone, il suo sangue, i suoi amori e le sue azioni; il resto è il muto mistero dell’origine e della fine. Quello che cercano l’asceta, l’alpinista, ma anche l’uomo comune non desensibilizzato che entra in acqua per nuotare, l’immersionista, chi esce dalla città per passeggiare in campagna: non cerchiamo la morte, in quel silenzio, ma il mistero, la sospensione del tumulto.
Il minuto di silenzio è un rito luttuoso: si svolge per piangere persone morte. Ma è anche un rito augurale: che dopo quel lunghissimo silenzio la vita ricominci, modificata. Che la morte appena pianta, onorata, celebrata, serva a qualcosa, che non sia stata inutile.
Certo fu un poeta, e un uomo religioso, chi lo inventò. Non mi risulta scrivesse versi, né so nulla delle sue opinioni in materia religiosa: so che chi pensa a un tempo di silenzio per commemorare un lutto e chiede a una collettività di sospendere ogni parola manifesta lo spirito originario della poesia, in senso foscoliano, la salvezza dal buio, la memoria, la continuità della vita nei viventi. E il senso religioso quintessenziale: l’appartenenza degli umani a una comunità che si interroga sull’esistenza di qualcosa sopra o oltre la morte.
E intenso, drammatico, fu il momento storico in cui nacque l’idea: la fine della Prima guerra mondiale. L’8 maggio 1919 Edward George Honey, giornalista australiano che lavorava a Londra, scrisse una lettera al quotidiano English News proponendo una commemorazione adeguata del primo anniversario dell’armistizio, che poneva fine alla Grande Guerra, e che era stato firmato l’11 novembre 1918. Allora, propose, dato che si trattava dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese, la commemorazione avrebbe potuto svolgersi alle ore 11 di quel giorno e quel mese. E proponeva le modalità del rito: «Cinque minuti soltanto. Cinque minuti di silenzio per la nazione. Una intercessione sacra. Comunione con i Morti Gloriosi che conquistarono per noi la pace, e dalla comunione, nuova forza, speranza e fede nel domani. Anche funzioni religiose, se volete, però la cerimonia non si svolga nelle chiese ma nelle strade, nelle case, nei teatri; ovunque la vita pulsi, la vita venga sospesa».
Grazie a una successiva proposta re Giorgio V la rese operante, e l’11 novembre 1919 ebbe luogo. Cinque minuti parevano troppi, uno, troppo poco. Si scelse il tempo di due minuti. Lo condivisero tutti paesi del Commonwealth, a cui si aggiunsero altre nazioni tra cui Francia e Belgio.
È un mio azzardo che la sua trasformazione, in certi Paesi, da due a uno, provenga da una mente pitagorica, mediterranea, essendo l’uno il numero perfetto e assoluto. Ma non ho prove. Provato è invece che il minuto di silenzio nasce come risposta dell’uomo alle tragedie di una guerra. Con il silenzio religioso, assoluto, con il ricordo votato, con la preghiera, o la speranza, di un tempo umano rigenerato e in pace.