Gloria Riva, l’Espresso 6/2/2015, 6 febbraio 2015
SOMMERSI DAL CEMENTO
Ogni giorno in Italia un terreno vergine di 90 ettari, per capirci grande quanto 123 campi da calcio, si trasforma in cemento. Può assumere svariate sembianze: strada, condominio, villa, resort vista mare, ferrovia o grattacielo. Di questo passo, fra vent’anni, gli italiani dovranno fare i conti con 600 mila ettari di calcestruzzo in più, vale a dire un’area grande sei volte la città di Roma. Non poco per un paese che, a partire dagli anni Cinquanta, ha sacrificato sull’altare dell’urbanizzazione quasi un quarto del suolo nazionale a una velocità di 6 metri al secondo. A scattare la grigia fotografia della cementificazione italica è il Wwf attraverso il rapporto 2014 "Riutilizziamo l’Italia" che "l’Espresso" ha letto in anteprima. «L’Europa ha posto l’obiettivo del consumo di suolo pari a zero entro il 2050. La Germania da vent’anni ha posto un limite a 30 ettari al giorno. Mentre in Italia, fra le nazioni europee che consuma più terreno, il contrasto alla cementificazione resta una sfida urgente, tutta da affrontare», dice Donatella Bianchi, presidente di Wwf Italia, sconsolata di fronte a quella dozzina di proposte di legge, sul tema della salvaguardia del territorio, in gestazione al Parlamento. Nessuna delle quali, per ora, ha visto la luce. Se non si interverrà per tempo, saranno la congestionata Pianura Padana e le zone costiere, soprattutto quelle che si affacciano sull’Adriatico, a risentirne maggiormente.
A fiorire sono soprattutto gli edifici abitativi, nonostante il numero di stanze per italiano sia da record europeo. E si continua a costruire appartamenti che tuttavia non risolvono i problemi dei giovani in cerca di un tetto, perché quelle case sono troppo costose per le loro tasche. Seguono le infrastrutture, molte inutili. Come la nuova Brebemi fatta per collegare Brescia, Bergamo e Milano, e che passa vicino alla A4. Una pista da 94 chilometri così battuta dagli automobilisti che lo scorso ottobre tre ragazzi hanno improvvisato una partita di calcio sull’asfalto e postato il video in rete. Una scena che rischia di ripetersi in Emilia Romagna, dove l’Autostrada Regionale Cisalpina sta per essere costruita, tuttavia «si mangerà suoli agricoli e produttivi e persistono dubbi sulla sua utilità. E non è un caso isolato», spiega Andrea Filpa, professore di Architettura all’Università Roma Tre che ha contribuito a realizzare il report del Wwf.
Non solo l’Italia ha un tasso di urbanizzazione fra i più alti d’Europa, ma a causa dei vari condoni le abitazioni sono sorte in modo irrazionale: «Se chi condona versa allo Stato cento euro, allora il Comune ne spenderà novecento per offrire a queste case i servizi di cui godono le altre abitazioni regolari, dall’illuminazione alla gestione dei rifiuti. Inoltre, grazie alla cementificazione attuale, ogni italiano possiede 370 metri quadri di superficie urbanizzata. E chi pensa a tenerla in ordine? Lo Stato, quando va bene; nessuno nella stragrande maggioranza dei casi», racconta il professore. In Italia ci sono 130 milioni di metri quadrati di aree dismesse, per lo più fabbriche abbandonate, simbolo di un’Italia del boom industriale che non c’è più. La proposta del Wwf è di concentrare gli sforzi per recuperarli, ma non è facile. Perché non sempre c’è un proprietario, perché quando c’è aspira a grossi guadagni, trasformando le aree in zone residenziali, contro il parere dei cittadini del posto. Perché spesso sono ex aziende finite in fallimento, che non hanno i soldi per occuparsi delle bonifiche e se ne deve far carico il Comune. Di casi così è ricca l’Italia, dalle acciaierie di Giovinazzo a Bari, alle Officine Grandi Riparazioni di Reggio Calabria, all’area Ostiense Marconi di Roma, fino alla veneta Porto Marghera. Nel resto d’Europa il riuso delle aree dismesse è prassi, da noi un po’ meno, anche se qualche Comune comincia a muoversi.