Gianni Poglio, Panorama 5/2/2015, 5 febbraio 2015
MONDO MACCIO
Due milioni di euro nel primo weekend di programmazione: il boom di Italiano Medio al box office è il trionfo dello stile Capatonda, geniale comico youtuber, approdato dalla rete alla televisione (vedi Mario su Mtv, storia di un giornalista che fa sciacallaggio sui fatti di cronaca nera) e, ora, da regista, al cinema. Non un cinepanettone e nemmeno un’obsoleta commedia all’italiana: il debutto di Maccio è la nascita di un nuovo genere cinematografico, la consacrazione rispetto al grande pubblico di una comicità spontanea e informale, pensata per una fruizione web e poi abilmente adattata alle esigenze del piccolo e grande schermo. «Le recensioni positive dei critici mi hanno fatto spaventato. Temevo un flop, e invece...».
Invece la gente ha fatto la coda per assistere alle bislacche avventure di un vegano integralista che si trasforma in un coatto da talent show grazie a una pillola misteriosa che gli consente di usare solo il 2 per cento del cervello. Il suo motto? «Bisogna mettere le mani nella merda per trovare l’oro». Per capire quanto se le sia sporcate davvero le mani per arrivare dov’è ora, abbiamo chiesto a Maccio di spalancarci le porte del suo magico mondo. «A 14 anni imbracciai la telecamera per girare tre indimenticabili film horror autoprodotti e ispirati a Venerdì 13: Jason a Chieti, Jason risorge e Jason va all’inferno. Teste mozzate, uomini uccisi con una videocassetta piantata in mezzo agli occhi, teste roteanti. Più trash che horror» rivela. «Protagonisti, io e i miei amici. Quando non si impegnavano abbastanza, passavo alle minacce: guardate che lancio il girato dalla finestra. Devo ammettere che la recitazione era pietosa: l’accento di Chieti è una lagna, l’anticinema per eccellenza» racconta divertito.
Dario Argento e Ritorno al futuro come riferimenti cinematografici, Indietro tutta, Quelli della notte, Drive In e Non è la Rai, quelli televisivi. «Stare incollati a Non è la Rai non era solo l’atto erotico-onanistico di un adolescente che inizia a masturbarsi. Io ero pazzo di Ilaria Galassi. Per me era come un amore vero: il viso angelico, gli occhi da cerbiatto e lo sguardo ingenuo mi avevano rapito. Ascoltavo Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd nella mia stanza e immaginavo di fare cose con lei». Fantasie mai realizzate a cui si contrappone la realtà di una relazione con Elisabetta Canalis, nel 2013, durata tre mesi: «Mio padre era molto curioso, voleva conoscere i particolari. Era un po’ come se, atrraverso me, fosse lui ad avere una relazione con Elisabetta».
Sono state le parodie delle serie tv di culto ad alimentare il mito di Maccio tra i ragazzi della generazione 2.0: «Rifare un classico degli anni ’ 70 come Bigfoot and Wildboy (storia di uno scimmione che con un passo scavalcava una montagna, ndr) è stato un incubo. A giugno, chiuso in un costume peloso, ho rischiato di impazzire per il caldo. Non per dire, ma il gorilla dello spot del Crodino si muove indossando una tuta con un sistema di refrigerazione. A me non l’hanno voluta dare per ragioni di budget». E, poi, Natale al cesso: «Il primo trailer-parodia dei cinepanettoni: il tappo in bocca, la moglie che ti scopre con l’amante, il cagnetto che ti azzanna le parti bassi. Un progetto trash per ridicolizzare il trash, quello vero».
Colto, ignorante, spregiudicato, italicamente furbetto... Come si autodefinisce Maccio Capatonda? «Un ignorante a tratti. Non ho grande memoria, ho studiato, ma molte cose non le ricordo. Sono bipolare come il personaggio di Italiano medio: alterno momenti di interesse culturale ad altri in cui non me ne può fregare di meno». Un esempio eclatante di italiano medio? «Matteo Renzi. In lui convivono il ruolo di un giovane che ispira fiducia a chi spera in un cambiamento e il lato piacevolmente “cazzone” di uno che ama fare battute e non prendersi troppo sul serio».
Tra le perle di Maccio anche la regia di uno dei video più esilaranti di Elio e le Storie Tese, Parco Sempione: «L’ho diretto indossando un’improbabile parrucca bionda, calato nei panni di un mio personaggio noto come Pelo Ponneso. Con quel nome sulla sedia del regista non è stato semplice essere preso sul serio». Un ultimo mistero sul suo primo film: perché Nino Frassica ha parlato di una tripla partecipazione? «Uno scherzo: due dei tre personaggi sono rimasti nella backstory del film: il cugino del protagonista non compare, l’architetto dell’ospedale dove vengo ricoverato, neppure. Il primario che mi visita, invece, c’è davvero». Ecco, ma lei l’ha retribuito per uno o per tre ruoli? «Per nessuno, quella di Nino è un’amichevole partecipazione».