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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

CUFFARO E LA GRAZIA

Roma, febbraio
«Non voglio la grazia. E non ho intenzione di accettarla, ammesso che venga concessa». L’ex presidente della Sicilia Salvatore Cuffaro, da 4 anni detenuto nel carcere romano di Rebibbia con una condanna a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, si dice pronto a scontare quanto ancora gli resta: «E fino all’ultimo giorno, con lo stesso rispetto per le istituzioni che ho sempre avuto nella fase processuale e sin dal mio ingresso in carcere».
Non sembra avere molta fiducia nella richiesta dei domiciliari che il suo legale, Maria Brucale, ha presentato: «Il documento con cui tutti gli operatori del carcere esprimono un parere sulla “rieducazione” del detenuto dà atto di un percorso positivamente compiuto», spiega l’avvocatessa. «E la relazione conclude: Cuffaro è in grado di sottostare ad obblighi e prescrizioni derivanti dai benefici». E la sua voce è pacata, anche quando affiora la sua preoccupazione per la salute dell’anziana madre. «Mi piacerebbe rivederla. Stringermi a lei, con la testa appoggiata sul suo cuore, come facevo da bambino. Vorrei ringraziarla anche per questo suo ennesimo atto d’amore. Ho saputo solo dai giornali della sua richiesta di grazia all’ex presidente Giorgio Napolitano. Un gesto che rafforza, se mai si potesse, il mio amore e la mia riconoscenza per lei».
Ida Caterina Impiduglia il 27 febbraio 2014 ha affidato al maresciallo della caserma dei Carabinieri di Raffadali la domanda di grazia per il primo dei suoi tre figli, il suo amato Totò. Una sola pagina e poche righe per manifestare al capo dello Stato la «speranza di potere riabbracciare il figlio» e di non dover andar via con la stessa disperazione del marito morto un anno prima. «Fino al suo ultimo respiro l’ha cercato, ha invocato il suo nome, ma nostro figlio non c’era». Questo ha scritto nella sua richiesta di grazia mamma Ida. Una richiesta già trasmessa dal Quirinale al Procuratore generale Roberto Scarpinato perché esprima un parere. Anche se un parere è già arrivato dallo stesso Cuffaro. «Per un uomo di fede la carità è uno dei più belli tra i sentimenti religiosi, quello che ti dona e ti fa ricevere più ricchezza d’amore. Ma non accetterei mai la carità della grazia. Ho chiesto sempre il riconoscimento dei miei diritti di detenuto, non voglio e non accetterei mai il beneficio di una grazia concessa a me e non ai compagni con i quali in questi anni ho condiviso miserie, sofferenze e speranze. Non è giusto. Anche se a me di benefici non ne sono stati concessi, neanche quelli che la legge prevede e che ad altri vengono regolarmente e giustamente accordati. Ma questo va bene».
Mimmo Miceli, ex assessore alla Salute di Palermo, coinvolto nella sua stessa inchiesta, nella vicenda delle “talpe” alla Direzione distrettuale antimafia, particolarmente vicino al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, ha ottenuto di lavorare in una onlus di Roma. Libero è pure il boss Guttadauro. Perché invece a lei è stato negato l’affidamento ai servizi sociali?
«Miceli ha giustamente ottenuto il beneficio, previsto dalla legge, dell’affidamento ai servizi sociali: non c’era motivo perché non gli venisse concesso. Quello che non capisco è perché lo stesso Tribunale di Sorveglianza di Roma che l’ha concesso a lui, a me lo abbia negato. Ma rispetto anche questa sentenza, senza però condividerla».
Quando è stata l’ultima volta che ha visto sua madre? Perché, a suo avviso, lo scorso dicembre, le è stato negato il permesso di incontrarla?
«Mia madre ha novant’anni e per lei è impossibile raggiungermi in carcere. L’ho vista l’ultima volta il 5 gennaio del 2013, non ai funerali di mio padre ma dopo, quando ne è stata tumulata la salma. Il magistrato che allora accordò il permesso non è lo stesso che oggi mi nega di poter riabbracciare mia madre. Al di là dell’incredibile motivo indicato nella sua decisione di diniego, credo che il “no” sia solo perché io mi chiamo Cuffaro. Anche se ho scelto di consegnarmi spontaneamente in carcere un’ora dopo la sentenza, e ho sempre manifestato il mio rispetto per il lavoro dei giudici, e ho fatto di tutto per essere un detenuto uguale agli altri, sono purtroppo considerato un detenuto “più uguale degli altri”».
“Dell’incredibile motivo del diniego” Cuffaro non vuole parlare. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha richiesto all’ispettorato generale accertamenti. Perché, secondo quanto scrive il giudice di sorveglianza di Roma, «il deterioramento cognitivo evidenziato dalla madre svuota senz’altro di significato il richiesto colloquio poiché sarebbe comunque pregiudicato un soddisfacente momento di condivisione». In altre parole, Cuffaro non può abbracciare, seppure brevemente, sua madre perché tanto la signora Ida è così malata che non lo riconoscerebbe.
Lei sta scontando sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra...
«Io ho sempre lottato contro la mafia, prova sono quei molteplici provvedimenti amministrativi e di legge che ho fatto da Presidente della Regione Siciliana e che ho votato come senatore della Repubblica. Se potessi tornare indietro sarei certamente più attento nel tenere lontane le insidie che la vita politica siciliana ti fa incontrare. Penso che a creare il clima di pregiudizio verso di me, che purtroppo ha avuto un ruolo notevole nella mia condanna, sia stato il mio modo passionale di stare tra la gente, di incontrare, di baciare e di essere disponibile con tutti».
Cosa pensa delle intercettazioni in casa del boss Guttadauro che la coinvolgono?
«Le intercettazioni, quando bene utilizzate, sono un buon strumento di indagine. Nelle intercettazioni da Guttadauro non sono io intercettato perché non sono mai stato in quella casa; d’altronde, come lo stesso Guttadauro ha dichiarato, noi non ci conoscevamo. Sono altri che avrebbero detto la famosa frase “Ragiuni avia Totò Cuffaro” utilizzata dai giudici come prova (del fatto che Cuffaro avrebbe fatto avvertire il boss di essere intercettato, ndr). Tale intercettazione che il consulente tecnico del pm, un “perito ragioniere”, dice di sentire non è però udita né dai consulenti di parte, illustri professionisti e tecnici del foro nominati da me e da Miceli, né dai tecnici della polizia scientifica a cui il Tribunale aveva chiesto ulteriore perizia fonica».
Per dovere di cronaca, ad accusare Cuffaro ci sono anche le dichiarazioni di pentiti come Angelo Siino e Nino Giuffrè, oltre a un video dei carabinieri del Ros che documenta l’incontro a Palermo, davanti all’Hotel Excelsior, fra Cuffaro, Mimmo Miceli e il cognato del boss Giuseppe Guttadauro, Vincenzo Greco, condannato nel ‘96 per aver curato Salvatore Grigoli, il killer di padre Puglisi. E poi volantini elettorali di Cuffaro furono ritrovati nel rifugio di Bernardo Provenzano...
Nel libro Il candore delle cornacchie, lei ha scritto che la sua è stata una morte civile, scientificamente realizzata da qualcuno... Chi?
«Ho anche scritto che non farò mai il nome di chi ha voluto tutto questo. Non serve, non ho bisogno né di risentimenti né di vendette».
Falcone parlava di menti raffinatissime. Lei crede che ci siano mai state?
«Credo che Giovanni Falcone avesse ragione, le menti raffinatissime ci sono state e ci sono ancora. E sono presenti in svariati settori della vita pubblica e privata, legali e illegali».
Come passa le sue giornate in carcere. Cosa fa?
«Il carcere è assenza, vuoto... Non sopporto il muro che separa dalle altre la cella che condivido con i miei tre compagni. A darmi forza sono la fede e l’amore per la mia famiglia. E poi c’è l’affetto che mi arriva dalla gente comune, da persone che non ho mai conosciuto e che mi scrivono, sono oltre 9 mila le lettere che ho ricevuto. Durante l’ora d’aria corro, mentre in cella leggo, studio, scrivo».
Come sono i suoi rapporti con gli altri detenuti?
«Ottimi. In carcere c’è una grande solidarietà e un grande senso del rispetto reciproco e, le sembrerà paradossale, un grande senso della giustizia».
Cosa le manca di più?
«Mi manca poter stare accanto alla mia famiglia, alle persone che amo e da cui sono amato, mi mancano l’affetto degli amici, i miei cani, il mio letto. Poter vedere il cielo tutto intero di notte. La mattina quando corro in cortile vedo il cielo tutto intero. La notte vedo solo il pezzo di cielo che la mia finestra mi concede».
La prima cosa che farà quando tornerà libero?
«Spero di essere ancora in tempo per riabbracciare mia madre. Prego ogni giorno che la nostra Madre Celeste mi dia questa opportunità. Poi andrò a far visita a mio padre al camposanto. Festeggerò con mia moglie e i miei figli il ritorno alla vita con un bicchiere di vino di mia produzione... Non bevo un bicchiere di vino da 5 anni».