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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

LE RONDINI DI FUKUSHIMA


Fino al 26 aprile 1986, quando uno dei reattori dell’impianto nucleare di Chernobyl esplose diffondendo l’equivalente del fallout di 400 bombe di Hiroshima sull’intero emisfero settentrionale, gli scienziati non sapevano quasi nulla sugli effetti delle radiazioni sulla vegetazione e sugli animali selvatici. La catastrofe creò un laboratorio vivente, soprattutto nei quasi 3.000 chilometri quadri attorno al sito, conosciuto come zona di esclusione circostante il sito.
Nel 1994 Ronald Chesser e Robert Baker, entrambi professori di biologia alla Texas Tech University, furono fra i primi scienziati statunitensi ad avere pieno accesso alla zona. «Era un posto da urlo, molto radioattivo», ricorda Baker. «Catturammo arvicole, sembravano sane come pesci e la cosa iniziò ad affascinarci». Sequenziato il DNA delle arvicole, i due scienziati non trovarono tassi di mutazione anomali. Chesser e Baker osservarono anche lupi, linci e altre specie in precedenza rare aggirarsi nella zona come fosse una sorta di rifugio atomico per animali selvatici. In occasione del ventesimo anniversario del disastro, il Chernobyl Forum, fondato nel 2003 da un gruppo di agenzie delle Nazioni Unite, ha pubblicato un rapporto che ha confermato queste vedute, affermando che «le condizioni ambientali hanno avuto un impatto positivo sul biota» della zona, trasformandola in un «eccezionale rifugio di biodiversità».
Cinque anni dopo la perlustrazione della zona effettuata da Baker e Chesser in cerca di arvicole, Timothy A. Mousseau visitò Chernobyl per fare una conta di uccelli e trovò prove opposte. Mousseau, docente di biologia all’Università della South Carolina, e il suo collaboratore Anders Pape Moller, oggi direttore di ricerca del Laboratoire d’Ecologie, Systématique et Evolution dell’Université Paris-Sud, si occuparono in particolare di Hirundo rustica, la rondine comune. Nella zona trovarono assai meno rondini, e quelle rimaste avevano una minore durata della vita, minore fertilità (i maschi), diminuzione delle dimensioni cerebrali, tumori, albinismo parziale – una mutazione genetica – e un’incidenza di cataratta più alta. In più di 60 lavori pubblicati negli ultimi 13 anni, Mousseau e Moller hanno mostrato che l’esposizione a bassi livelli di radiazione ha avuto un impatto negativo sull’intera biosfera della zona, dai microbi ai mammiferi, dagli insetti agli uccelli.
Non sono mancati i critici, incluso Baker, il quale, in un articolo pubblicato nel 2006 da «American Scientist» (Crescere con Chernobyl , tradotto su «Le Scienze» n. 465, maggio 2007) e scritto in collaborazione con Chesser, ha sostenuto che la zona «era in pratica diventata una riserva» e che le «incredibili conclusioni» di Mousseau e Moller erano «sostenute solo da indizi». Ma le loro ricerche e l’esito del dibattito sui bassi livelli di radiazioni potrebbero essere utili per tutte le problematiche relative al nucleare, dalla risposta ai disastri alle politiche energetiche generali.
Quasi tutto quello che sappiamo sugli effetti sanitari delle radiazioni ionizzanti viene da uno studio ancora in corso sui sopravvissuti della bomba atomica chiamato Life Span Study (LSS). Gli standard di sicurezza per l’esposizione alle radiazioni sono basati sul LSS. Lo studio lascia però aperti grossi interrogativi riguardo agli effetti dell’esposizione a basse dosi di radiazioni, proprio le condizioni che ci sono a Chernobyl. La maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che non c’è dose di radiazioni che sia certamente innocua, per quanto bassa. E le basse dosi sono le meno comprese. Lo studio LSS non ci dice molto su dosi inferiori ai 100 millisievert (mSv), e non ci dice nulla sugli ecosistemi radioattivi. Per esempio, quante radiazioni ci vogliono per provocare mutazioni genetiche, e queste mutazioni sono ereditabili? Quali sono i meccanismi e i biomarcatori genetici delle malattie indotte da radiazioni come il cancro?
La tripla fusione del nocciolo della centrale nucleare di Fukushima Daiichi nel marzo 2011 ha offerto a Mousseau e Moller un nuovo laboratorio naturale dove studiare le basse dosi di radiazioni, replicando le ricerche fatte a Chernobyl e permettendo loro di affermare «con assai maggior confidenza che gli impatti che osserviamo sono legati alle radiazioni e non a qualche altro fattore», dice Mousseau. La zona di esclusione di Fukushima, circa 800 chilometri quadrati, è più piccola di quella di Chernobyl ma identica per altri aspetti. Entrambe includono terreni agricoli abbandonati, boschi e aree urbane dove i livelli di radioattività variano di ordini di grandezza su brevi distanze. E quasi certamente Mousseau e Moller avrebbero avuto accesso a Fukushima più velocemente di quello che avrebbero potuto ottenere per Chernobyl nell’era sovietica. In breve, Fukushima offriva la possibilità di risolvere la discussione.
Qualche mese dopo l’incidente, Mousseau e Moller già contavano gli uccelli di foreste montane contaminate a ovest dell’impianto ancora fumante, ma senza poter entrare nella zona stessa per osservare che cosa stava accadendo alle rondini. Finalmente nel giugno 2013 Mousseau e colleghi sono stati fra i primi scienziati ad avere pieno accesso alla zona di esclusione di Fukushima.

Una possibilità rara
La sensibilità alle radiazione varia enormemente fra gli esseri viventi e tra individui della stessa specie, e questo è uno dei motivi per cui è importante non estrapolare dalle farfalle alle rondini o da arvicole agli esseri umani. Le farfalle, dice Mousseau, sono particolarmente radiosensibili. Ad agosto 2012 la rivista scientifica on line «Scientific Reports» ha pubblicato un lavoro sugli effetti del fallout di Fukushima sulla farfalla Zizeeria maha. Joji Otaki, professore di biologia all’Università delle Ryukyu a Okinawa, ha rivelato che le farfalle di questa specie catturate vicino a Fukushima due mesi dopo il disastro avevano malformazioni ad ali, zampe e occhi. Le indagini di Mousseau e Moller sugli insetti di Chernobyl e di Fukushima registrano il declino delle farfalle come gruppo. Ma il lavoro di Otaki aggiunge una piega nuova e importante: incrociando le farfalle mutanti di Fukushima con esemplari sani di laboratorio, il tasso di anomalie genetiche è aumentato a ogni successiva generazione. Otaki è il primo scienziato a dimostrare rigorosamente l’accumularsi delle mutazioni genetiche, per diverse generazioni, in un organismo che vive a Fukushima.
Mousseau ritiene che questo fenomeno, l’accumulo di mutazioni genetiche, sia una tendenza nascosta che mina la salute degli ecosistemi radioattivi, rivelandosi occasionalmente nella prole delle farfalle mutanti o rondini con albinismo parziale. Addirittura Baker concorda con Mousseau sulle conclusioni di Otaki: «Chiaramente, alle farfalle sta accadendo qualcosa di indotto dalle radiazioni. L’esposizione multigenerazionale ha effettivamente come risultato alterazioni del genoma».
Prima di prenotare il volo per Tokyo, Mousseau aveva cercato in Giappone un fornitore di mattoncini di piombo necessari per una nuova serie di esperimenti. Non era però riuscito a trovarne abbastanza, così era arrivato a Tokyo con oltre 270 chilogrammi di mattoni di piombo, stipati in otto valigie. Ho incontrato Mousseau e il suo postdoctoral fellow, l’italiano Andrea Bonisoli Alquati, all’aeroporto e li ho aiutati a caricare i mattoncini nel portabagagli di un’auto noleggiata. Poi ci siamo diretti al nostro albergo a Minamisoma, a nord della centrale di Fukushima.
Fra i tonfi delle sospensioni sulle strade dissestate dal terremoto, abbiamo attraversato una serie di paesi spopolati lungo la strada tortuosa che conduceva a nord, verso la centrale. Durante la guida, Mousseau scorreva con lo sguardo negozi sbarrati e case deserte in cerca di nidi di rondine. Le rondini sono un soggetto ideale per questi studi perché sono filopatriche, cioè tendono a tornare per tutta la vita a riprodursi nello stesso luogo. Già sappiamo molto di loro in condizioni normali, e questi animali condividono caratteristiche genetiche, di sviluppo e fisiologiche simili con altri vertebrati a sangue caldo. Sono un po’ come il classico canarino nella miniera di carbone, solo che qui la miniera è radioattiva. Mousseau ha contato forse una dozzina di «cicatrici», cioè resti di nidi abbandonati, macchie di fango a forma di mezzaluna sotto le gronde, ma nessun nido nuovo.
«Mostrano forti effetti negativi il primo anno», ha detto. «Me lo aspettavo che quest’anno sarebbe stato difficile trovarne».
Qualche chilometro a ovest della centrale, siamo arrivati al confine con la zona di esclusione: c’era un blocco stradale e agenti di polizia che, stupiti, hanno agitato le braccia e hanno gridato «Tornate indietro!», attraverso le maschere. I permessi di Mousseau non erano ancora validi, quindi siamo tornati indietro.
«Ma proprio non riesco a credere che non ci sia neanche un nido attivo», ha aggiunto tornando dalla deviazione da cui eravamo partiti. Ha dato un rapido sguardo a un passero fermo su un filo del telefono: «Non vedo né farfalle né libellule in volo. È proprio una zona morta».
Fukushima ci offre la rara possibilità di dare uno sguardo alle prime risposte di un ecosistema alla contaminazione radioattiva. Sappiamo poco di generazioni di arvicole e di rondini di Chcrnobyl, per non parlare degli altri animali. Resoconti aneddotici parlano di morti massicce di animali e piante, ma non ci sono dettagli sulla loro ripresa. Forse qualche specie ha evoluto una maggiore capacità di riparazione del DNA danneggiato dalle radiazioni? Studiare l’ecosistema di Fukushima, subito, è essenziale per sviluppare modelli predittivi che potrebbero spiegare come procede nel tempo l’adattamento ai bassi livelli di esposizione e l’accumulo del danno genetico.
Mousseau si è rammaricato di non aver avuto accesso alla zona subito dopo l’incidente. «Avremmo dati molto più rigorosi su quante rondini c’erano e quante sono scomparse», ha detto una volta arrivati in albergo. «Quelle che stanno tornando sono i genotipi resistenti o hanno solo avuto fortuna in qualche modo?».

Una questione di dose
Il giorno dopo, convalidati i permessi, una fila di agenti ha salutato la nostra auto che superava il posto di blocco ed entrava nella zona di esclusione. Mousseau si è subito diretto ai cancelli della centrale di Fukushima. Il programma era seguire la pianura costiera, dal luogo dell’incidente – ground zero – ai villaggi abbandonati di Futaba, Okuma e Namie, contando una per una tutte le rondini, rilevando la posizione di tutti i nidi e catturando il maggior numero possibile di uccelli. «Ogni dato rilevato qui è di valore inestimabile», ha detto a Bonisoli Alquati.
A un miglio di distanza dalla centrale, Bonisoli Alquati ha avvistato una rondine appollaiata su un filo vicino a una casa. C’era un nido di fango fresco su una sporgenza dentro un garage. Il livello delle radiazioni toccava i 330 microsievert all’ora, pari a oltre 3000 volte il normale livello di fondo: il valore più alto rilevato da Mousseau sul campo.
«In dieci ore ti prendi la dose annua» di radiazione di fondo, ha detto Bonisoli Alquati, riferendosi alla quantità di radiazione di fondo che in media un abitante degli Stati Uniti riceve in un anno. Insieme a Wataru Kitamura, della Tokyo City University, ha appeso reti per uccelli, simili a reti da pallavolo giganti a maglie di nylon, sopra l’entrata del garage. Poi hanno aspettato per un bel po’ il passaggio di una rondine. Ma Mousseau non voleva perdere tanto tempo per un solo uccello, anche se vicino a un «punto caldo». Quindi hanno piegato le reti e siamo andati verso Futaba.
Futaba è un villaggio fantasma, interdetto a tutti tranne che agli ex residenti, ai quali è consentito tornare per qualche ora ogni mese per controllare case e negozi. Un cartello nel centro commerciale del paese diceva: «Energia nucleare: il luminoso futuro dell’energia». Sulla strada principale, i livelli di radiazioni non erano peggiori di quelli di molte aree contaminate esterne alla zona. Ma la contaminazione è solo uno dei problemi di Futaba. Il terremoto di magnitudo 9.0 ha lasciato intatte poche strutture. Molti edifici si sono inclinati sulle fondamenta, alcuni sono crollati. Abbiamo seguito la strada schiacciando tegole di ceramica e vetri infranti. Ratti e corvi curiosavano in mucchi di rifiuti e cibo marcio sugli scaffali dei negozi. A un certo punto Kitamura, con il binocolo, ha contato sei rondini che volavano in cerchio vicino a un negozio devastato di articoli sportivi.
«Preparate i pali e le reti!», ha gridato.
Kitamura e Bonisoli Alquati si sono accovacciati fuori dal negozio, tenendo le reti fra le mani. Le rondini scendevano in picchiata e cantavano nel cielo, quando di colpo una coppia è entrata nel negozio. I ricercatori sono saltati in piedi e hanno teso una rete all’entrata, intrappolando gli uccelli all’interno. Ci sono volute due ore per catturare e campionare tutte e sei le rondini, una alla volta. Prima di liberarle, Mousseau ha applicato a ciascuna rondine un piccolo dosimetro a termoluminescenza, per tracciare la dose di radiazione assorbita. In seguito, alla stazione ferroviaria di Futaba, dove i livelli di radiazioni sono dieci volte più elevati, i ricercatori hanno catturato altre due rondini.
Quella sera, cena di gruppo a Minamisoma. Tutti erano stanchi morti. Ho chiesto a Kitamura che effetto gli avesse fatto osservare la zona. «Ho provato una specie di tristezza – mi ha detto – perché dopo l’incidente non è successo nulla». Turbato da quello che aveva visto a Futaba, Kitamura non aveva alcuna voglia di tornarci.
Inizialmente il governo giapponese si era impegnato a bonificare 11 delle municipalità più gravemente contaminate della Prefettura di Fukushima entro il marzo 2014. L’obiettivo era ridurre la dose annua a 1 mSv, il valore limite per la popolazione previsto dalle raccomandazioni dell’International Commission on Radiological Protection. Ma fino a oggi la massima parte degli sforzi di bonifica si è concentrata sulla stabilizzazione dei reattori nella centrale nucleare, che continuano a liberare radiazioni nell’Oceano Pacifico. Inoltre le autorità giapponesi non hanno più una tempistica precisa riguardo alla decontaminazione, hanno invece stabilito 1 mSv all’anno come obiettivo a lungo termine e incoraggiano alcuni degli 83.000 evacuati a tornare in posti in cui la dose annua arriva fino 20 mSv, equivalente alla dose limite stabilita sempre dall’lnternational Commission on Radiological Protection per le persone che lavorano nel settore nucleare. Di recente il partito al governo in Giappone ha pubblicato un rapporto che riconosce che molte aree contaminate non saranno abitabili per almeno una generazione.
Questo spostamento degli obiettivi evidenzia la distanza tra le nostre conoscenze degli effetti di basse dosi di radiazioni e le scelte politiche che governano, fra l’altro, i protocolli di bonifica. Anche se gli scienziati non hanno determinato una dose di radiazioni «sicura», le autorità giapponesi hanno bisogno di un numero da porsi come obiettivo per stabilire le linee da seguire per decontaminazione e reinsediamento delle popolazioni, e quindi si affidano a organismi consultivi come l’International Commission on Radiological Protection e a studi imperfetti come il LSS.
«In ultima analisi, bisogna stabilire limiti arbitrari», dice David Brenner, direttore del Center for Radiological Research della Columbia University. «Arbitrari perché non sappiamo quali sono i rischi. Ancora più arbitrari perché probabilmente non è una questione di sì o no, pericoloso o sicuro». Le ricerche di Brenner mostrano prove di un aumento nel tasso di tumori associato a dosi annue di soli 5 mSv. Sotto questa soglia arbitraria non ci sono solide prove, né a favore né contro, di rischi diretti per la salute umana, anche se Mousseau e Moller hanno osservato effetti negativi su popolazioni di piante e animali. Dei residenti di Fukushima esposti alle radiazioni nei quattro mesi dopo il disastro, il 97 per cento ha ricevuto una dose inferiore a 5 mSv. «Quando si scende a questi livelli di dose, bisogna affidarsi a quello che sappiamo dei meccanismi – argomenta Brenner – ed è molto limitato».

Precisione necessaria
In un sobborgo residenziale alla periferia di Namie, Bonisoli Alquati ha scovato un nido di rondine nel vicolo stretto che separa due case. È il primo nido attivo di una giornata deludente, passata a percorrere il distretto deserto attorno a Futaba e Namie, contando solo nidi vuoti e «cicatrici». Contare i nidi, prima che siano tutti sciolti dalle piogge, è essenziale per stabilire un riferimento di base sulla popolazione delle rondini prima dell’incidente, ma per il lavoro di laboratorio Mousseau ha bisogno anche di campioni da uccelli vivi. Il nido del vicolo conteneva tre pulcini, i primi da lui trovati nella zona, e tre uova. «Questo nido è importante», ha detto Mousseau. Una voce registrata gracchiava dal sistema pubblico di altoparlanti e riecheggiava irreale tra la foschia dei colli e le risaie incolte: entro un’ora la zona avrebbe chiuso.
Sul sedile anteriore dell’auto, Bonisoli Alquati ha tirato fuori un pulcino da un contenitore di plastica e ha effettuato una serie di misurazioni con vari strumenti. Soffiando sulle piume lanuginose sotto l’ala, ha scoperto una zona della pelle del pulcino e l’ha punta con un ago. Un po’ di sangue è andato in un piccolo tubo; un altro po’ su un vetrino. Poi ha infilato l’uccellino in un sacchetto di tela e lo ha sistemato nel «forno», una «pila» di mattoncini di piombo tenuti insieme con il nastro adesivo. I mattoncini formavano una camera schermata in cui Mousseau poteva misurare il carico radioattivo totale dei singoli animali senza che le radiazioni di fondo confondano il risultato.
«L’obiettivo è riuscire a osservare i singoli uccelli da un anno all’altro e determinare se la loro probabilità di sopravvivenza è collegata alla dose che hanno ricevuto», ha spiegato. «Se vogliamo arrivare al meccanismo della variazione genetica e della radiosensibilità, e al loro impatto sui singoli animali, allora questa dosimetria più precisa è necessaria».
Ma nel punto in cui ci trovavamo il livello delle radiazioni era troppo elevato per permettere misurazioni accurate. Mousseau ha quindi spostato l’auto più avanti sulla stessa strada e ha azzerato nuovamente lo spettrometro gamma. Dopo qualche minuto lo strumento ha mostrato il segnale specifico della contaminazione da cesio-137, il principale isotopo del fallout di Fukushima. Il pulcino, che forse era nato da appena una settimana, era radioattivo.

Un segnale troppo debole?
Ogni giorno la polizia fermava l’auto di Mousseau per esaminare attentamente i permessi. L’unica parola che capivo, in questi tesi scambi verbali, era tsubame, che in giapponese significa «rondine». Ogni volta che veniva pronunciata, la parola suscitava sorrisi perplessi. In Giappone le rondini sono di buon auspicio, molti inchiodano piccole piattaforme di legno al portone di casa per attirarle. Come le case, nella zona le piattaforme erano tutte vuote.
Ogni giorno, dopo l’ora di chiusura della zona, Mousseau e Bonisoli Alquati lavoravano fino a notte inoltrata per catturare altre rondini nelle zone non contaminate a nord di Fukushima. Non contaminate in senso relativo. A Minamisoma, evacuata durante il disastro, la radiazione di fondo è ancora il doppio del normale. Eppure, trascorsa l’intera giornata nella zona, gli ordinati quartieri di Minamisoma, identici a quelli di Namie, Futaba e Okuma, sembravano un universo parallelo. Era strano trovare nidi di rondine pieni di grassi pulcini canterini. I vicini, incuriositi uscivano spesso di casa a guardare Mousseau e Bonisoli Alquati catturare gli uccelli. Ogni volta ci offrivano tè e dolci e domandavano in modo cortese delle radiazioni.
«L’anno scorso una delle cose che più colpivano erano le persone che chiedevano: “Ma è sicuro o no? Facciamo bene a vivere qui?”», ricordava Bonisoli Alquati. «Questo devono dirlo i politici. Io rispondo che noi siamo qui per gli uccelli».
Durante il suo ultimo giorno in Giappone, Mousseau ha notato un nido attivo appeso a un lampione del portico di una casa vuota in un vicolo di Kashima e ha chiesto a un vicino il permesso di catturare gli uccelli. L’uomo era un membro della locale azienda fluviale e diceva di essere contento che qualcuno studiasse la contaminazione radioattiva, visto che il governo non lo faceva. «Il governo, sempre segreti», ha aggiunto, lamentandosi del fallout che finisce nel fiume. Nei pesci koi pescati nel fiume si sono registrati 240.000 becquerel di cesio per chilogrammo, ha detto l’uomo. Per fortuna non si mangiano, visto che in Giappone il limite per il consumo umano è di 100 becquerel per chilogrammo.
Un altro residente del quartiere ha chiesto a Mousseau di misurare con il dosimetro le radiazioni lungo la strada. Mousseau l’ha accontentato, scribacchiando i numeri – tutti ben superiori ai normali livelli di fondo – su un pezzetto di carta, che l’uomo dell’azienda fluviale ha preso con un solenne cenno del capo. Mentre rimettevamo a posto le reti, preparandoci ad andare via, un’anziana signora ha tirato fuori un pacchetto di mandarini, dicendo qualcosa che si poteva tradurre come «si possono mangiare».
«Mi dispiace», ho detto. «Non posso aiutarla».
Ma la donna è tornata a offrire i mandarini, e ho capito che non stava facendo una domanda: voleva rassicurarmi che quello che mi offriva non era stato contaminato da Fukushima.
«Questi vanno bene», ha detto, sorridendo. «Da Nagasaki».
Un giorno al 40 per cento di noi sarà diagnosticata qualche forma di cancro. Se si nasconde un segnale nel rumore di questa statistica, che certo fa riflettere, un segnale che potrebbe puntare a tumori indotti di bassi livelli di radiazione, allora è troppo debole per poter essere identificato dagli epidemiologi. Le grandi domande sulle basse dosi troveranno risposta nello studio «dei danni ai cromosomi indotti da radiazioni, o dell’espressione genetica indotta da radiazioni, o dell’instabilità genomica», dice Brenner. Questa è la direzione che Mousseau e Moller stanno iniziando a seguire con le loro ricerche sulle rondini.
«I tumori, purtroppo, non ci dicono se a causarli sono state le radiazioni o qualche altra cosa», dice Mousseau. Se avesse abbastanza fondi, Mousseau sequenzierebbe il DNA di ognuna delle rondini a cui ha applicato i dosimetri. Confrontando i risultati con le singole dosi stimate, potrebbe forse riuscire a scoprire biomarcatori genetici per le malattie indotte da radiazioni.

Guardare il genoma
Lo scorso novembre Mousseau è tornato a Fukushima per la dodicesima volta: 18 mesi dopo che ero entrato con lui nella zona. Con Moller, ha pubblicato tre ricerche che hanno dimostrato il ripido declino delle popolazioni di uccelli a Fukushima. Mousseau dice che i dati dell’ultimo censimento, che si preparano a pubblicare sul «Journal of Ornithology», forniscono prove clamorose della continuazione del declino, «senza alcuna prova di effetto soglia». Per qualche ragione, però, sembra che la radiazione stia uccidendo gli uccelli di Fukushima a un tasso doppio rispetto a quello di Chernobyl. «Forse c’è una mancanza di resistenza, o forse una maggiore radiosensibilità nella popolazione autoctona di Fukushima», dice Mousseau. «Forse negli uccelli di Chernobyl si è evoluto un certo grado di resistenza, o quelli più sensibili sono già stati eliminati negli ultimi 26 anni. Non sappiamo quale sia la risposta, ma speriamo di arrivarci». La risposta potrebbe venire dal sangue delle rondini prelevato da Mousseau e Bonisoli Alquati nella nostra spedizione. Un’analisi preliminare di quei campioni non ha mostrato alcuna prova di un aumento significativo del danno genetico, sebbene sia ancora presto per dirlo. C’è bisogno di un numero molto più grande di campioni prelevati da rondini delle aree più contaminate, dove la popolazione sta crollando.
Anche se i primi risultati di Mousseau e Moller danno indicazioni convincenti di un ecosistema in difficoltà a Fukushima, nel rapporto 2014 lo United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation (UNSCEAR) riecheggia le sue precedenti valutazioni su Chernobyl , dichiarando che gli effetti delle radiazioni sul «biota non umano» nelle aree altamente contaminate «non sono chiari», e in quelle meno contaminate sono «insignificanti».
«La nostra è ricerca di base, non tossicologia, ma l’UNSCEAR non si è neanche preso il disturbo di chiederci del nostro lavoro o trovare qualcuno che ne interpretasse i risultati», dice Mousseau. «Sono quelli che stabiliscono i limiti standard per la salute umana, e stanno ignorando un bel po’ di informazioni potenzialmente rilevanti».
E aggiunge che le prove ignorate sono sostanziali. «Negli anni della mia esperienza a Chernobyl e ora a Fukushima, abbiamo trovato segnali di effetti di un aumento dei tassi di mutazione in quasi ogni specie e ogni rete di interazioni ecologiche che siamo andati a guardare», dice Mousseau. «È tutto lì: aspetta solo di essere osservato, descritto e pubblicato».
Baker non ha in programma di effettuare ricerche a Fukushima, ma di recente ha sequenziato il DNA di un diverso genere di arvicole di Chernobyl. I nuovi dati sembrano sostenere le conclusioni di Mousseau e Otaki secondo cui all’esposizione alle radiazioni è associato un aumento dei tassi di mutazione. Le conseguenze dell’esposizione multigenerazionale – se diminuisca o meno la fitness o le capacità riproduttive degli animali, o se causi difetti congeniti o tumori nelle generazioni successive – non sono ancora chiare. «Dobbiamo continuare a fare ricerca genomica dice Baker è lì che sta la vera storia».