Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 5/2/2015, 5 febbraio 2015
A DURA PROVA LA TENUTA DELLA «FORTEZZA GIORDANIA»
Nei giorni peggiori dell’avanzata dell’Isis verso Mosul e Baghdad, l’estate scorsa, la televisione giordana mostrava re Abdullah con sguardo determinato da comandate, che si addestrava con i parà delle forze speciali. Il filmato era retorico ma efficace per la sensibilità del Paese, forse il più minacciato nella regione: geograficamente collocato fra Israele, Siria e Iraq, non c’è crisi mediorientale che non abbia coinvolto la Giordania negli ultimi 69 anni, cioè da che esiste.
Secondo i dati ufficiali il Paese ospita 600mila profughi siriani, 2 milioni palestinesi, 30mila iracheni e, ad abundantiam, 4mila fra sudanesi e somali. La realtà dice che i profughi siriani non registrati superano il milione; che nel recente passato gli iracheni erano molti di più; che a parte i profughi, quasi il 70% dei sei milioni e mezzo di giordani, è palestinese, regina Rania compresa. Di tanto in tanto un generale israeliano dichiara pubblicamente che lo Stato palestinese prima o poi sorgerà in Giordania, non in Cisgiordania, destabilizzando il regno hashemita più di quanto possano i guerrieri dell’Isis.
Nelle statistiche demografiche è tuttavia utile menzionare anche i duemila giovani giordani che combattono nei gruppi radicali, più in Siria che in Iraq; e nei numeri offerti dai sondaggi ricordare quel 62% di giordani i quali pensano che l’Isis sia un’organizzazione terroristica e il 31, solo, che crede lo siano anche i qaidisti di al Nusra.
Ma la Giordania sopravvivrà a questa minaccia come ha fatto con le precedenti. L’esecuzione di Moaz al-Kassasbeh, il giovane pilota, ha alienato alcune importanti tribù giordane che erano pronte a trattare. Ora cercano solo vendetta contro l’Isis, non solo attraverso le forze armate: utili in questo saranno i contatti tribali fra clan sunniti iracheni e transgiordani. Ma non è per questo che la Giordania non cadrà nelle mani dello stato islamico. Le grandi tribù beduine, il pilastro della monarchia hashemita, non amano questo re troppo occidentalizzato. Ma Abdullah è il figlio di Hussein, scelto da lui come suo successore e sul quale il vecchio re in punto di morte aveva chiesto ai capi beduini di giurare fedeltà. Una critica fatta sovente alla monarchia è di non aver accelerato le riforme sociali né quelle democratiche. Ma sono le riforme che le tribù del Paese e le grandi famiglie economiche di Amman non desiderano. Non averle fatte, almeno in questa fase di emergenza politica e di sicurezza, alla fine è stato utile.
Un’altra ragione della sua capacità di tenuta è che la Giordania è il cuscinetto sotto forma di Stato organizzato, che separa il caos dell’Isis dall’Arabia Saudita. Sauditi e americani che hanno investito 100 milioni di dollari per il nuovo centro di addestramento regionale antiterrorismo ad Amman, non permetterebbero l’implosione della Giordania. L’ultima e più importante delle ragioni è che l’Isis ha la forza di minacciare solo la sopravvivenza dei “failed states”. La Giordania non è uno Stato fallito.