Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 03 Martedì calendario

NEL BILANCIO AMERICANO UN MESSAGGIO PER L’EUROPA

Mentre parlava ai repubblicani, presentando il suo bilancio, Barack Obama parlava davvero all’Europa. Chiedeva di smetterla con l’austerità e di pensare alla crescita. E per dare il buon esempio, ha proposto misure di stimolo fiscale, anche se la sua economia ormai cresce alquanto stabilmente da qualche tempo.
Leggendo fra le lunghe pagine di un tomo grande quanto due elenchi telefonici, il leggendario Blu Book (anche se ieri in copertina c’era un ponte da rimettere a posto!) ci sono infatti tre messaggi chiave che ci riguardano direttamente quanto meno dal punto di vista politico se non da quello strettamente tecnico. Messaggi che la Germania soprattutto dovrebbe leggere con attenzione.
Il primo riguarda la continua necessità di procedere con una politica fiscale espansiva. Obama chiede che gli introiti derivanti dalla nuova proposta di tassa del 14% sui profitti che le aziende americane trattengono all’estero sia destinata a investimenti infrastrutturali in America: strade, ponti, autostrade. Si calcola che gli introiti possano essere pari a circa 260 miliardi di dollari in dieci anni e dunque parliamo di una manovra di stimolo, senza leve, simile a quella che l’Europa propone complessivamente con i 300 miliardi di Juncker (anche se sappiamo che nella migliore delle ipotesi il danaro fresco mobilitato nella Ue è di appena 20 miliardi di euro).
Il secondo punto è il corollario del primo: i nuovi introiti fiscali non dovranno essere destinati all’abbattimento del debito che pure ha raggiunto i livelli più elevati dai tempi della seconda Guerra Mondiale, ma appunto agli investimenti: la crescita ci ha detto Obama, resta oggi più importante dell’austerità. In termini pratici, il debito federale americano ha raggiunto il livello del 75% del Pil dopo gli anni della grande recessione e secondo le previsioni di bilancio scenderà gradualmente fino al 73,3% da qui al 2025, ma non di più.
C’è scandalo fra i repubblicani? Solo in parte, Paul Ryan, il presidente della Commissione appropriazioni alla Camera e il grande guru dei conti per i repubblicani ha pubblicamente preso le distanze dalla «filosofia redistributiva del Presidente» ma su debito e disavanzo si è mantenuto prudente «su alcune cose avremo spazi per trattare» ha detto. Un esempio? La riduzione della tassa sulle imprese dal 28 al 25% per Ryan potrebbe andare bene «purché si faccia un discorso strutturale».
Il terzo messaggio è sempre legato a una questione fiscale centrale: dopo essere arrivato negli anni più difficili fino al 10% del Pil, il disavanzo pubblico previsto per l’anno fiscale 2015/2016 sarà del 2,5%, 474 miliardi di dollari in termini assoluti che diventeranno 687 miliardi di dollari nel 2025, ma negli anni, almeno fino al 2025 il livello resterà sempre del 2,5%. Un bilancio in pareggio per ora non interessa, è più importante sostenere l’economia. Anche perché, diciamolo, il locomotore americano corre ormai da molti anni e anche se la ripresa in corso sta per essere iscritta fra quelle più lunghe della storia, sappiamo bene che i cicli congiunturali colpiscono sempre. Dunque, nella prospettiva di un indebolimento da qui a qualche anno, l’amministrazione Obama sceglie di continuare a premere sull’acceleratore piuttosto che sul freno.
Del resto Obama questo messaggio lo ha ripetuto esplicitamente all’Europa quando in un’intervista nel fine settimana ha parlato dei risultati delle elezioni greche. «Non si può continuare ad opprimere senza dare speranze per la crescita», ha detto il Presidente. Attenzione, il suo messaggio non era per Atene era per l’Europa intera. Una litania che dall’America è ricorrente da almeno due anni a questa parte. Chissà che davanti ai risultati in termini di occupazione e miglioramento dei conti pubblici non si faccia strada in Germania l’idea che un passaggio dal pedale del freno a quello dell’acceleratore sia nell’interesse di Berlino oltre che dell’Unione Europea tutta.