Mario Pagliara, La Gazzetta dello Sport 4/2/2015, 4 febbraio 2015
FUTURISTA, ECO, A RUMORE ZERO: IL NUOVO STADIO DEL MILAN COL TETTO MOBILE
Sarà uno stadio molto milanese. Capace di interpretare, come mai accaduto prima, nel profondo l’identità di una città: sobrio ma super moderno, discreto ma prestigiosissimo, pensato in ogni dettaglio per essere continuamente proiettato nel futuro. È la grande scommessa del Milan, è il sogno di Barbara Berlusconi che prende forma (da ieri c’è anche il plastico) e sul quale Fondazione Fiera potrebbe decidere entro il 10 marzo. Il futuro che bussa alla porta: un’arena smart, cittadina, somigliante a un isolato urbano più che a uno stadio di tipo tradizionale. Non sarà un colosseo o un maxi impianto che calerà come un extraterrestre nel cuore di Milano, ma un’arena che intende diventare un pezzo della città, per armonizzarsi in maniera sostenibile nel cuore della city. Perché, d’accordo che il Meazza è la storia, le Coppe dei Campioni, la testimonianza scritta nell’acciaio di campioni, allenatori, ricordi. Ma la nuova casa del Diavolo al Portello, di fronte a Casa Milan, è un bivio ormai inevitabile, una scelta necessaria che trasuda d’innovazione. Il crocevia di una svolta storica.
TERZA ERA Prima ancora delle scelte di architettura, c’è un elemento che renderà questo impianto «un luogo unico al mondo», così definito dal Milan. È la filosofia: una prova di futurismo delle infrastrutture sportive, che intende fare di questo impianto uno dei punti di riferimento al mondo nel modo di concepire le arene sportive. Non sarà solo uno stadio, o forse questa sarà la sua ultima funzione. Sarà a tutti gli effetti uno spazio, un luogo, un pezzo della città di Milano. Come le sue palazzine liberty, i suoi monumenti, i suoi grattacieli. E poco impattante: non più alto di 30 metri (il Meazza va oltre i 60), rispettando i limiti di altezza dei palazzi esistenti, una struttura paesaggisticamente non invasiva con portici, strutture leggere e trasparenti, progettata dalla britannica Arup (leader nel settore) con la collaborazione del Politecnico di Milano. «A differenza dei primi stadi, che erano solo dei contenitori di spettatori, e degli stadi britannici degli anni 90 aperti 7 giorni – spiega l’ingegnere Maurizio Teora, direttore di progetto di Arup -, questo impianto ci poterà nella terza era degli stadi: integrerà le sue funzioni sportive e d’intrattenimento, sempre attive, con la vita e le esigenze della città. Associando le funzioni tipiche di uno stadio alla vita del quartiere, come ad esempio per l’albergo». Il progetto non dovrà solo convincere i vertici di Fiera, ma dovrà superare anche l’esame dei residenti della zona, preoccupati, e sul punto di riunirsi in comitati no-stadio: hanno pronti 5mila volantini.
CHAMPIONS Sì Pianta rettangolare, conterrà 2 anelli con una capienza da 48mila spettatori: il progetto iniziale era di 42mila, poi è stato leggermente ritoccato rinforzando il 2° anello aggiungendo altri 6000 posti. Una capienza di poco sotto la soglia Uefa minima per ospitare una finale Champions (di 50mila), ma una differenza sottile che consentirà di ottenere l’evento copertina del calcio europeo in deroga. Scavato 10 metri sotto terra, con 2 piani di parcheggi. Confort altissimo: da ogni posto visuale perfetta, la copertura mobile garantirà la chiusura totale (aumentando il piacere di vivere l’evento in caso di pioggia o freddo) e ventilazione naturale. Senza barriere e tornelli, sostituiti da un sistema di microchip e di sensori ad alta tecnologia. A rumore «0» grazie a materiali fonoassorbenti che genereranno l’effetto catino all’interno, pieno di verde (con percorsi in cima) e all’insegna del rispetto ambientale: produrrà energia pulita con la cogenerazione, il fotovoltaico, nei bagni si riciclerà l’acqua piovana e differenziata spinta in tutti i settori. Ottimi i collegamenti con i mezzi pubblici: un punto chiave dell’analisi che ha preceduto la progettazione.
CANNES L’investimento globale sarà tra i 300 e i 320 milioni, di cui 220-240 per costruire lo stadio e il resto per le opere previste dal progetto (albergo, liceo, interventi di urbanizzazione). Una spesa tutta a carico dei privati, senza toccare le casse del Milan, con Emirates partner principale e una trentina di aziende pronte a chiudere accordi di sponsorizzazione. L’apertura del cantiere creerà 1000 posti di lavoro, 500 la successiva gestione. Prima del brindisi, Fondazione Fiera dovrà scegliere il progetto vincitore tra i 4 finalisti per riqualificare la vecchia Fiera: il 10 marzo a Cannes aprirà il Mipim, l’evento più atteso dell’industria immobiliare, e qui potrebbe essere ufficializzata la scelta. La spunterà lo stadio del Milan?
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Emilio Faroldi, 53 anni, è professore ordinario di Tecnologia dell’Architettura presso il Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano. Negli ultimi sei mesi, il suo team di lavoro ha affiancato Arup (società leader nel mondo nel settore della progettazione e dell’ingegneria: ha firmato, tra i tanti, lo stadio Olimpico di Pechino e l’Allianz Arena di Monaco di Baviera) nel lavoro di progettazione concentrandosi soprattutto sul tema della ricerca e della sostenibilità urbanistica.
Professore Faroldi, qual è la filosofia del progetto?
«Abbiamo approcciato al progetto sviluppando subito i temi fondamentali di quest’opera: ovvero parliamo della sostenibilità ambientale, del concetto di uno stadio urbano smart che sia facilmente raggiungibile attraverso il trasporto pubblico, e che sia a basso impatto. Uno stadio, inoltre, che s’identifichi più come un edificio, come un pezzo di città, e non come una macchina da business da attivare esclusivamente per l’evento sportivo una volta alla settimana».
Qual è stato il punto di partenza?
«La ricerca scientifica che, attraverso una serie di studi, ci dice chiaramente che il ruolo degli stadi in Europa e nel mondo sta progressivamente cambiando. Gli stadi non sono più pensati solo come un luogo per gli eventi sportivi, seppure aperti tutta la settimana, ma come un pezzo utile a riordinare l’insieme urbano di una città, di un quartiere».
Calandoci nell’area del Portello di Milano, qual è stato il primo scoglio da superare?
«Ci siamo dati un obiettivo: quello di non consumare il suolo. Ci troviamo in un’area strategica della città di Milano, nella quale abbiamo immaginato che uno stadio pensato così potesse recuperare e aiutare a risolvere le problematiche urbanistiche del quartiere. E qui nasce l’idea di uno stadio intelligente, a impatto zero».
Qual è la grande differenza di questo stadio rispetto agli altri impianti più conosciuti nel mondo?
«La nostra idea dimostra la tendenza molto in voga in alcune città del mondo: uno stadio non può più essere solo un oggetto del design, ma deve essere molto urbano, capace di colloquiare con il territorio e di entrare a far parte senza traumi del paesaggio e della città. Sarà unico e con caratteristiche molto milanesi».
Avete studiato 70 impianti, ma alla fine a quali vi siete ispirati?
«Soprattutto all’Emirates di Londra (dell’Arsenal, ndr ), al St. Jakob-Park di Basilea, al nuovo San Mamés di Bilbao, al Neuchatel Xamax Stadium».
Quindi, come sarà la casa del Diavolo?
«Adeguata per carisma e importanza al prestigio e agli obiettivi di un club come il Milan. Sarà legata al futuro, guarderà al futuro, sarà proiettata nell’evoluzione del mondo del calcio. Si confronterà con la contemporaneità e si legherà molto bene al contesto milanese».