Giancarlo Dotto, Dagospia 4/2/2015, 4 febbraio 2015
TOTTI. FARSI FUORI PER SCRIVERE LA STORIA PERFETTA
Di norma si uccide il padre. In certi casi è indispensabile uccidere il figlio. Quando si scrive che Francesco Totti è il miglior giocatore della storia della Roma si pecca per difetto. Totti è il miglior giocatore italiano di ogni tempo. Tecnica, potenza, tocco, istinto, tiro e assist. Mai visto niente di simile, se non pescando nel sancta sanctorum degli otto, dieci di sempre. Lo sanno i romani(sti) più degli altri, ma questo è un problema degli altri.
Ma oggi, Totti, anche il Totti sublime del derby, quello che s’inventa un gol strapazzando le leggi della (sua) fisica, di un quasi trentanovenne sempre più ancorato alla legge di gravità, che miracolosamente pesta dentro ritmi ed esuberanze fisiche per lui proibitive, di gente che potrebbe essergli figlia, il Totti di oggi che i tifosi amano ancora più che mai, ma svenati dal dubbio che avanza: questo Totti è diventato un problema per la sua Roma.
A essere esatti, sono un problema reciproco. Sono prigionieri l’uno dell’altro. Totti e la Roma. Che non è mai libera d’immaginarsi senza Totti. E, invece, deve cominciare a farlo, da subito.
Bello sarebbe pensare l’ultimo derby come il suo canto del cigno, prima che il cigno diventi pietra. Già presento i tamburi di guerra. Ma come? Il Garcia italianizzato, la pareggite e ora la sconfiggite che avanza, e tu mi tocchi l’Intoccabile? Il punto è questo. Immaginarsi senza il suo Dio stanco, è l’unica strada per immaginarsi un domani oltre che uno stadio.
Il problema della città romanista, a cominciare da trombettieri gregari e ruffiani, è l’incapacità di separarsi dall’ovvietà del Mito, di concedersi a un lutto troppo grande. E, allora, lo si vuole differire il più possibile. Questo ammazza la Roma.
Nel suo di dentro, Totti questo lo sa, che i tifosi non riescono a immaginarsi senza di lui e lui senza di loro. Totti oggi è un grande problema. Lo è nella spietata legge del tempo che tutto divora. E, come sempre, quando c’è di mezzo l’affetto, lucidare uno sguardo spietato è un’impresa.
Il Totti di oggi toglie più di quanto riesca a dare. Guardate quante volte, anche ieri, sempre, i compagni più giovani si affrettano a dargli palla, appena ne intuiscono la sagoma imperiosa, anche quando non è in condizione di riceverla, quando l’avversario è già li a pestargli l’ombra, e puntualmente lo sovrasta. Quante palle perdute, in tutti i sensi possibili, perché Totti in campo è un magnete che offusca, un richiamo totemico che confonde e rallenta.
La stessa trovata del selfie cos’è, se non una formidabile invenzione mediatica dentro una cornice che non era più il derby ma il rapporto d’amore pagano tra Totti e la sua gente?
I romanisti rischiano l’idolatria per l’uomo, che è la degenerazione del tifo per la propria squadra. Rischiano di amare Totti più di quanto amino la Roma. Immortalandosi con la sua gente alle spalle, Totti ha fissato iconicamente con un gesto mondano un rapporto sacro.
Immaginare una Roma senza Totti è troppo per farlo sino in fondo. Dovrà essere lui, Francesco ad aiutare l’impresa, facendosi da parte, consegnandosi così a una grandezza assoluta e a una storia perfetta. Immaginarsi altro da quello che è. Immaginare la sua fine da calciatore. Il più grande atto d’amore romanista.