C. Magnanini, D, la Repubblica 31/1/2015, 31 gennaio 2015
SOCIAL FRA DI NOI
Non tutto quello che va in rete è pubblico. E non tutto quello che è privato è impubblicabile, illecito. Si dice dark social, non si legge vietato o pruriginoso: semplicemente è quello che non viene messo in piazza su Facebook o Twitter. Dove si condivide solo un terzo di quanto ci si scambia in “privato” condividendo link, copia-incollando testi via mail o instant messaging, forum o blog. Tutto questo, ovvero quello che c’è sono la punta dell’iceberg Zuckerberg & Co., lo ha quantificato una ricerca della piattaforma di social advertising RadiumOne: in Europa i dark social detengono il 77% delle condivisioni online, il 69% negli Usa (Facebook arriva appena al 30%). E tra tutti coloro che scambiano contenuti in rete (cioè l’84% di chi naviga), il 93% lo fa attraverso i dark.
I contenuti – in realtà – non sono affatto oscuri: si scambiano consigli di viaggi, cibo, musica, film, moda, tecnologie... Ma, a differenza dei post su Facebook destinati a tanti, la peculiarità dei commenti scambiati, per esempio, con WhatsApp, è che sono diretti a persone che conosciamo e a cui teniamo: amici veri. A loro inviamo consigli spassionati, che generano affidabili dickback (cioè link che vengono davvero aperti da chi li riceve). Ecco Perché quei messaggi rivestono tanta importanza per il marketing e l’advertising: chi riuscirà a raggiungere e intercettare i gusti di utenti appasssionati, ma “sommersi”, sfuggenti alle maglie dei contenitori più grossi, avrà fatto bingo. RadiumOne cita due casi esemplari: il Tinte e la Universal Music. Il primo ha censito la percentuale di dickback dei propri articoli condivisi via social tradizionali e via dark con la funzione «invia questo articolo»: 10% i primi, 90% i secondi. La Universal invece, grazie alle “short url” (l’abbreviazione personalizzata con servizi come Po.st o Bitly, che rende gli accessi quantificabili con precisione) ha calcolato un più 300% del traffico dark sul proprio sito. Tutto alla luce del sole.